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Venerdì, 26 Aprile 2024
Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Aretino di nascita e per vocazione. Dal 2004 sono giornalista culturale, nonché addetto stampa e curatore di mostre ed eventi. La mia attività è rivolta principalmente, fin dall’inizio della carriera, al mondo delle arti visive. Credo nella natura divina dei Beatles

Arezzo da amare Centro Storico / Piazza Del Duomo, 1

Tra storia e tradizione, il miracolo dell'immagine più cara agli aretini: la Madonna del Conforto

Nel febbraio 1796 Arezzo fu soggetta a scosse di terremoto di piccola e media entità che andarono avanti per giorni, allarmando la popolazione. Terminarono improvvisamente e i fedeli attribuirono il merito alla maiolica sacra

Quando la cinta medicea del Cinquecento sostituì quella tarlatesca del XIV secolo, la “vittima” più illustre dei lavori nella zona a nord di Arezzo fu la Badia di San Clemente, influente complesso camaldolese che occupava e possedeva terreni all’interno e fuori dalle mura settentrionali della città, quelle rivolte verso il Casentino.

L’entrata cittadina di riferimento, Porta San Clemente, venne leggermente spostata a est, facendo perdere d’importanza l’antica via a essa collegata, ancora oggi chiamata via Vecchia, breve parallela di via San Clemente raggiungibile anche attraverso la breve via del Cavallo. All’interno delle nuove mura rimasero alcuni possedimenti dei monaci, ricordati ancora oggi dal classico stemma con le due colombe che si abbeverano a un unico calice presente in alcuni edifici dell’area.

Lungo la via Vecchia si trovava un ospizio della Grancia camaldolese, dove sul finire del XVIII avvenne l’episodio miracoloso che dette il via al culto della Madonna del Conforto, il più sentito anche dagli aretini del terzo millennio.

La cappella della Madonna del Conforto

Torniamo alla prima metà di febbraio 1796, quando Arezzo fu soggetta a scosse di terremoto di piccola e media entità che andarono avanti per giorni, allarmando la popolazione. Nel pomeriggio del 15, in uno scantinato dell’ospizio utilizzato soprattutto per la mescita del vino, alcune persone rifugiate – la cantiniera Domitilla Bianchini e i calzolai Giuseppe Brandini, Antonio Scarpini e Antonio Tanti – stavano pregando davanti a una piccola maiolica raffigurante la senese Madonna di Provenzano, annerita dalla polvere, dalla fuliggine del carbone di un fornello e dai fumi di una lampada a olio.

Improvvisamente, secondo la tradizione, la figura si fece bianchissima e splendente, perse la sua patina nero-giallastra e lo sciame sismico cessò.

Alle 11 della stessa sera si racconta che via Vecchia fosse già occupata da un fiume di gente. La notizia arrivò al vescovo Niccolò Marcacci, che giunse sul luogo e fece trasferire l’immagine dalla cantina nella cappella dell’ospizio, che a quei tempi si trovava all’angolo tra via Vecchia e la “Via Sacra”, ovvero l’odierna via Garibaldi. Il 19 febbraio, dopo alcuni giorni di dubbi, interrogatori e discussioni con i camaldolesi, il capo della Chiesa aretina acconsentì al trasloco della maiolica nel duomo, dando inizio ufficialmente alla devozione per la Madonna del Conforto.

Sotto la pressione di migliaia di persone giunte in città da tutta la diocesi, il 10 aprile si decise di costruire una cappella all’interno della cattedrale dove venerare la figura mariana. Del progetto fu incaricato l’architetto fiorentino Giuseppe del Rosso. Nel frattempo affluirono dal territorio offerte in denaro e materiali per contribuire all’erezione. Rimane famoso il gesto degli abitanti di Giovi, che trasportarono in processione un grosso macigno prelevato dall’Arno, ancora visibile all’esterno della cappella, a sinistra della rampa di scale mobili dell’emiciclo Giovanni Paolo II.

Per la realizzazione fu aperta una breccia nella parete sinistra della cattedrale. Il 5 agosto 1796 fu posta la prima pietra e nel 1823 i lavori erano ormai definitivamente conclusi.

Il risultato finale era una cappella a tre navate dove ammirare un tripudio di marmi, oreficeria sacra, sculture, tele dipinte e affreschi di stampo neoclassico, a cui si aggiunsero alcune splendide terrecotte invetriate realizzate negli ultimi due decenni del Quattrocento, prelevate tra il 1811 e il 1817 da altri luoghi o ex luoghi di culto su indicazione del vescovo Agostino Albergotti. Quest’ultimo ha il suo monumento funebre a destra dell’entrata della cappella. Sotto il suo episcopato, il 4 giugno 1814, il Capitolo Vaticano concesse alla Madonna del Conforto la corona d’oro riservata alle immagini mariane più importanti. L’opera marmorea, scolpita dal carrarese Odoardo Baratta, mostra l’episodio dell’incoronazione nel bassorilievo centrale.

Nella parete di destra è da ammirare la maestosa tela con “Giuditta che mostra al popolo la testa di Oloferne” dell’aretino Pietro Benvenuti. La prima versione del quadro, eseguita nel 1798, fu ceduta a Lord Hervey, conte di Bristol. La nuova fu realizzata nel 1803 e collocata l’anno successivo. Nel 1805 si fermò ad Arezzo per ammirarla anche il celebre scultore Antonio Canova. Opposta alla tela di Benvenuti è sistemata quella del 1806 del fiorentino Luigi Sabatelli, altro personaggio di prim’ordine del neoclassicismo toscano, raffigurante “Abigail che placa la collera Davide”.

L’altare maggiore, realizzato con pregiati marmi policromi, fu disegnato dall’architetto romano Giuseppe Valadier, mentre gli angeli laterali e quelli che sostengono in alto la corona sono ancora del Baratta. La preziosa urna di argento dorato del 1804, che conserva la maiolica miracolosa, è dell’orefice capitolino Giuseppe Spagna, autore anche della corona in oro e brillanti.

La cupola e la calotta dell’abside presentano scene affrescate tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento, eseguite tra il 1799 e il 1802 dal pratese Luigi Catani, mentre le volte furono dipinte negli stessi anni dal milanese Luigi Ademollo, autore anche della “Via Crucis”. A sinistra dell’altare maggiore è collocato il monumento funebre a Niccolò Marcacci, il vescovo che dette inizio al culto mariano, eseguito dal fiorentino Stefano Ricci. A destra dell’altare si trova invece l’accesso alla cripta dei vescovi e dei canonici, realizzata nel 1929 su progetto dell’aretino Umberto Tavanti.

L’ospizio camaldolese di via Vecchia fu chiuso con le soppressioni napoleoniche nel 1810. In seguito divenne proprietà dei Velluti Zati, i cosiddetti “duchi di San Clemente”, che nel 1891 lo cedettero alle domenicane, il cui vicino monastero di Santa Maria Novella era stato chiuso nel 1866 e incamerato dal demanio statale. Le suore adattarono la struttura a loro uso ma non dimenticarono di preservare l’ambiente dove era avvenuto il miracolo, trasformandolo successivamente in cappella.

Oggi il luogo è una delle tappe obbligate dei pellegrinaggi dedicati alla Madonna del Conforto nei giorni precedenti ai festeggiamenti nella cattedrale. Sopra l’entrata si nota il tipico monogramma mariano con la A e la M che si sovrappongono, a rappresentare sia il saluto “Ave Maria”, sia la frase “Auspice Maria”, ovvero “sotto la protezione di Maria”. Nel grazioso interno i visitatori possono pregare di fronte a una riproduzione della maiolica miracolosa e ripercorrere, attraverso alcuni pannelli, la nascita e lo sviluppo del culto mariano per eccellenza della diocesi aretina.

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