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L'Arezzo e le trasferte del cuore. Quelle che i tifosi porteranno sempre sulla pelle

Il colpo grosso di Livorno ha ridestato sensazioni sopite da tempo. Ed è entrato nella ristretta lista di partite che resteranno in memoria

Ci sono trasferte che restano qua, all’altezza del cuore, e non si muovono più. Non è tanto la vittoria sul campo che scuote i sentimenti, è un non so che di più intimo, profondo, inspiegabile che si appiccica sulla pelle come un tatuaggio e che sai ti accompagnerà per il resto dei giorni. Il colpo grosso di Livorno, inaspettato nelle modalità e nelle proporzioni, (quasi) decisivo per la classifica, è entrato già da domenica nel cerchio magico. C’era il sole, c’era il vento che faceva garrire le bandiere, c’era un prato perfetto. Non era freddo né troppo caldo. All’Ardenza si stava bene.

L’Arezzo non ne ha vissute molte di trasferte così. L’ultima fu a Carrara il 5 maggio 2018, il culmine della battaglia totale. 1-0 firmato Cellini all’89’, salvezza senza neanche passare dai playout dopo il rischio retrocessione, il rischio fallimento, il rischio di ripartire dall’Eccellenza. Squadra e pubblico erano un’anima sola. Come a Livorno. Come a Cesena il 23 febbraio 2004, otto giorni dopo l’addio a Minghelli. Finì 1-1, segnò Elvis, nel settore colmo di migliaia di aretini c’era uno striscione meraviglioso che grondava dispiacere e speranza: “la tua immagine resterà impressa nella nostra memoria, ciao Lauro!”.

Quella stagione fu memorabile. A Lumezzane, il 21 dicembre 2003, era successo di tutto: 3 gol dell’Arezzo, 2 rigori parati da Pagotto, la nebbia padana che avvolse stadio e partita. Non si poteva giocare, si giocò. Un popolo intero, dietro la vetrata che separava il campo dalla tribuna, batteva le mani sul plexiglass e vociava così forte che si andò avanti fino alla fine. La vinse la gente, come la vinse a Pistoia il 14 giugno 1998. Finale playoff contro lo Spezia, l’afa, i supplementari, il tacco di Balducci e il rigore di Campanile, il cappellino di Serse lanciato in cielo. Il torto della radiazione di cinque anni prima era finalmente cancellato, solo chi c’era quel giorno può capire il senso di liberazione che si avvertiva nell’aria.

Ogni tifoso serba dentro di sé una giornata più significativa di altre, accompagnata da uno stato d’animo insolito, pregnante, che fa vibrare le corde. C’è stata Perugia il 15 giugno 1986 (quella del 2-0, di Ugolotti Facchini, dell’Arezzo salvo in B e dei biancorossi scivolati addirittura in C2) e sempre Perugia l’8 gennaio 1984 (quella dell’1-1, di Pellicanò che para un rigore a Morbiducci e di Traini che pareggia al 90′ sotto la nord), c’è stata Pistoia (1-0, gol di Sella in B nell’83) e c’è stata Ferrara (3-2 per loro nel ’91, nonostante Supermenco in panchina e un esodo amaranto biblico).

Soprattutto, orgoglio e fierezza si sono mischiati a Latina il 23 maggio 1982, con la vittoria del campionato di C che ormai si annusava a ogni angolo di strada, e a Carpi il 15 maggio 1966, il giorno della prima, storica, indimenticabile promozione in serie B. Chi si mise in viaggio quella domenica, ha provato di sicuro lo stesso brivido con cui i 500 del “Picchi”, l’altro giorno, sono rincasati all’ora di cena.

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