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La storia della grande stele marmorea al cimitero comunale

L'opera dell'artista Alessandro Lazzerini è dedicata ai soldati italiani deceduti negli ospedali di riserva durante la Prima Guerra Mondiale

I cimiteri possono racchiudere vere e proprie opere d’arte. Quello di Arezzo non fa eccezione e, passando in rassegna le lapidi o le cappelle nella zona monumentale, si scoprono lavori di pregevole fattura. Al centro del camposanto, ad esempio, campeggia la grande stele marmorea dedicata ai soldati italiani deceduti negli ospedali di riserva durante la Prima Guerra Mondiale. 

La città, sebbene lontana dal fronte, aveva infatti siti utilizzati provvisoriamente per la cura e la convalescenza dei militari ammalati e feriti che arrivavano dal nord Italia. Gli “stabilimenti sanitari di riserva” aperti in tutta la penisola non necessariamente erano nosocomi, perché a volte si sfruttavano anche edifici a uso civile e scolastico, soprattutto nelle fasi più critiche del conflitto.

L’opera di cui parliamo questa settimana fu eseguita dal carrarese Alessandro Lazzerini (1860/1942), autore apprezzato di gruppi scultorei commemorativi in Italia e all’estero, nonché professore onorario all’Accademia di Belle Arti di Firenze. La sua impresa più rilevante, almeno per Arezzo, fu il monumento a Francesco Petrarca, inaugurato il 25 novembre 1928 alla presenza di re Vittorio Emanuele III nell’area del Prato. 

Quella dell’enorme complesso marmoreo intitolato al poeta fu una storia tormentata. L’artista apuano nel 1907 si era aggiudicato il concorso per la realizzazione della scultura con il bozzetto “Ai posteri”, ma tra la nascita di comitati, sottoscrizioni, raccolta fondi in tutta la penisola, rinvii, riprese e la Grande guerra, passarono molti anni prima che l’opera vedesse la luce. 

Nel frattempo Lazzerini aveva eseguito altri due lavori per la città. Il primo, nel 1911, fu l’altorilievo dedicato ai 400 anni dalla nascita di Giorgio Vasari per il pilastro iniziale delle Logge di Piazza Grande. La seconda fu proprio la stele del cimitero, fortemente voluta dal Comitato aretino di Provvidenza Civile.

Le opere d'arte del cimitero comunale

Il monumento ai soldati venne compiuto con sette blocchi di marmo bianco lavorati a bassorilievo. Nella parte anteriore è raffigurato un combattente nudo, colpito mentre sta lanciando una granata. Subito sotto si leggono i nomi di ventidue militari morti per lesioni inguaribili con i relativi luoghi di provenienza. 

Sul retro è rappresentata una bella “Vittoria alata”, ovvero la dea della mitologia romana associata al buon esito della battaglia, a sua volta mutuata dalla Nike greca. Ai quattro angoli del piccolo spazio verde che ospita la scultura sono posti, infine, altrettanti cippi con i nomi dei 258 uomini spirati negli ospedali di riserva cittadini per malattie ed epidemie durante l’evento bellico. 

Sul basamento si legge la data del 4 giugno 1922, ma l‘inaugurazione ci fu il 2 luglio successivo con tanto di polemiche. Negli stessi anni, infatti, veniva realizzata una cappella per i caduti aretini nella basilica di San Francesco. I ritardi per la sua erezione furono però notevoli, nonostante gli sforzi del comitato presieduto dall’archeologo Gian Francesco Gamurrini, costituitosi nel 1917 per raccogliere fondi e censire i morti. Si giunse all’apertura al pubblico delle lapidi con i nomi dei militi aretini e dell’edicola con “L’Apoteosi del fante italiano” di Giuseppe Cassioli solo il 24 maggio 1926.

Per questa lunga posticipazione gli amministratori di allora furono accusati di aver anteposto i morti del resto d’Italia a quelli locali. La stessa esecuzione del Lazzerini non fu esente da critiche. Innanzitutto fu biasimata l’eccessiva mole dell’opera rispetto alle dimensioni del camposanto, inoltre, come accadrà in seguito anche per il monumento a Petrarca, lo stile dello scultore venne considerato anacronistico, aulico e troppo accademico rispetto ai nuovi gusti imperanti negli anni Venti, che andavano verso forme più essenziali. 

Nel tempo un’analisi più obiettiva ha tuttavia rivalutato l’arte del carrarese, ponendolo tra le figure più interessanti del panorama toscano a cavallo tra XIX e XX secolo, sospeso tra l’enfasi ottocentesca e la sinuosità dello stile liberty. 

Oggi la scultura non se la passa benissimo. Anche dalle immagini si può notare una vistosa patina nerastra causata da licheni molto aggressivi che da anni non ne consentono la corretta lettura. Il centenario dalla Prima Guerra Mondiale poteva essere l’occasione perfetta per una generale ripulitura del bassorilievo ma, purtroppo, si è trasformata in un’occasione mancata.

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