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Referendum anti-trivelle. Angelo Rossi per il no: "Se fosse approvato si rischia chiusura impianti"

Il 17 aprile i cittadini saranno chiamati a votare anche il referendum anti-trivelle. Per chiarire i motivi di chi voterà no ecco la posizione del consigliere Angelo Rossi. Il referendum cosiddetto "anti-trivelle", nel caso in cui venisse...

Il 17 aprile i cittadini saranno chiamati a votare anche il referendum anti-trivelle. Per chiarire i motivi di chi voterà no ecco la posizione del consigliere Angelo Rossi.

Il referendum cosiddetto "anti-trivelle", nel caso in cui venisse approvato, avrebbe un solo effetto, quello di condannare alla chiusura impianti già esistenti, da cui l'Italia ricava oggi circa l'8% del gas che consuma, e al licenziamento migliaia di dipendenti. E’ ingannevole, perché i promotori vogliono far credere agli italiani che con il referendum si dirà “No” a nuove trivellazioni entro le 12 miglia; e questo proprio a breve distanza dalla decisione del Parlamento di approvare una legge che espressamente le vieta. Che senso ha fare spendere al paese 400 milioni di euro per dire “ No” a qualcosa cui il Parlamento ha già detto “No”? Nessun senso, appunto. Per questo il referendum è un inganno. A promuovere questo referendum sono state 9 regioni (e non fra le più popolose), alle quali preme una sola cosa: affermare il principio del tutto sbagliato che a decidere in materia di energia debbano essere, in ultima istanza, le regioni e non il Parlamento. Il Referendum è anche dannoso. Il vero obiettivo dei suoi promotori non è impedire le trivellazioni, che comunque sarebbero vietate, ma è quello di bloccare le piattaforme che già esistono e che da anni riforniscono, in tutta sicurezza e senza danneggiare nessuno, una parte significativa del gas che serve al paese. Si dice che queste produzioni sono marginali e che il gioco non vale la candela. Non è vero. La produzione italiana di gas e di olio (a terra e in mare) copre, rispettivamente, l’11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno. In euro questo significa 4,5 miliardi all’anno di risparmio sulla bolletta energetica. Non è davvero poco. Le piattaforme off­shore che si vorrebbero chiudere forniscono fra il 60 e il 70% del gas nazionale che utilizziamo in casa o nelle attività produttive. Perché dovremmo rinunciare a questa energia pulita, sicura e che soddisfa bisogni fondamentali del paese? Perché dovremmo mettere in crisi un settore industriale che crea lavoro e ricchezza e che è ricco di professionalità e di tecnologie? Non c’è nessuna ragione valida per farlo. Sarebbe uno spreco assurdo che nessuna nazione che abbia la fortuna di disporre di risorse energetiche nazionali, a cominciare dalla “verdissima” Norvegia, si sognerebbe di fare. Perché mai dovrebbe farlo l’Italia? L’attività estrattiva del gas metano non danneggia in alcun modo il turismo. Il 50 % del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell’alto Adriatico; nessuna delle numerose località balneari, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha lamentato danni. Anzi, il turismo balneare è cresciuto così come sono cresciute le spiagge cui la lega Ambiente conferisce la goletta verde. L'estrazione del gas non danneggia l'ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico ed è di pochi giorni fa che l’Università californiana di Santa Barbara ha chiesto che non venga dismessa la piattaforma Eureka, considerata da loro una importante oasi ittica. Né si può dire che le piattaforme deturpino il paesaggio. Soprattutto l’estrazione di gas è sicura. Su di essa esercitano un controllo costante e stringente l’Ispra, l’Istituto Nazionale di geofisica, quello di geologia e quello di oceanografia. C’è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell’Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo. Infine, questa attività non costa nulla ai contribuenti ma dà molto al paese: 800 milioni di tasse, 400 di royalties e canoni, 300 di investimenti in ricerca. Dà lavoro diretto a più di 10.000 persone e concorre col settore a dare lavoro a più di 100 mila persone. Perché dovremmo disperdere questa ricchezza tanto più se non crea nessun danno a nessuno? La spregiudicatezza con cui un fronte di regioni politicamente bipartisan ha scelto di diffondere l'allarme rispetto a pericoli che, semplicemente, non esistono, non rappresenta un contributo positivo al confronto su un tema di governo decisivo, quello della dipendenza energetica dell'Italia, in un quadro internazionale che evidentemente consiglierebbe di aumentare la produzione interna. E', insomma, un referendum demagogico e sbagliato da tutti i punti di vista. Per questo motivo invito i cittadini a votare no il 17 aprile.
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