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"Gli Avanzi di Balera? Unici e squilibrati. Ma io sono un comico triste". Alessandro Lisi si racconta

Sul palco, insieme a Santino Cherubini e Francesco Maria Rossi, ha segnato un'epoca. Ed era amatissimo dal pubblico. L'infanzia in via Libia nelle case popolari, la vena artistica nata dalla povertà, il successo e i lutti: botta e risposta con un uomo orgogliosamente aretino

“Abbiamo mollato gli spettacoli con equilibrio, anche se eravamo tre squilibrati. A un certo punto le energie se ne vanno e devi dire basta. Vedo gente che continua, continua, continua... Ma il comico è un mestiere violento, rischi la distruzione. È più dignitoso fermarsi. Che non è scappare, è lasciare in sospeso”.

Alessandro Lisi, 55 anni compiuti il primo maggio, ci ha fatto ridere tutti. Con gli Avanzi di Balera ha monopolizzato le estati aretine, mettendo in scena un cabaret che ha segnato un'epoca. Battute e battutacce riversate sul pubblico a ritmo incalzante, personaggi così veri che ti facevano ripensare al tipo incontrato poco prima al bar, una spontaneità talmente debordante che palco e platea erano un tutt'uno. Fino al 2011. Poi il sipario venne giù per l'ultima volta.

Perché avete smesso?

La scena è grande fatica e grande piacere. La fai sempre pari. E comunque i greci curavano la depressione con il teatro. La Asl dovrebbe dare un sussidio ai comici.

Esagerato.

La gente quando è lì ti dà il meglio. Se sei in sintonia, lo scambio d'energia è vigoroso. La risata è una scossa, a te che sei sul palco arriva una botta tremenda. Ma c'è stress, ci vuole il fisico. A meno che non ti droghi, cosa che io non ho mai fatto.

Ripeto. Perché avete smesso?

Io faticavo a creare, Santino invece voleva diversificare. Io sono un battutista miniera, Santino un battutista minatore. Questo diceva Francesco.

Per i pochi che non vi conoscono: tu e Santino Cherubini eravate i comici, i mattatori. Francesco Maria Rossi era la spalla, il bravo presentatore.

Nella vita il vero comico è Francesco. Ci spingeva a trasgredire perché lui non aveva la forza di farlo. Ci ha dato un tocco di credibilità, altrimenti saremmo stati troppo volgari.

Invece Santino cosa è stato per te? Un amico, un collega, un rivale?

La rivalità era inconsapevole, non si diceva ma c'era. Artisticamente ero figlio suo, senza Santino gli Avanzi di Balera non sarebbero mai esistiti.

Il vostro era un successo dilagante per merito di chi? O di cosa?

Ci siamo migliorati nel tempo. Vivevamo la città, in giro ci conoscevano, si identificavano in noi. A fine spettacolo ne facevamo un altro dietro le quinte per salutare tutti. Eravamo unici, il nostro era sano populismo comico.

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Non ti viene mai nostalgia?

Quell'energia non c'è più. Quando creavo, andavo in catalessi. A volte è frustrante, per mesi guardi il foglio bianco ma non succede niente, poi una notte ti svegli e senti che è il momento e ti devi alzare perché sennò passa. Ti metti a sedere e la mano parte da sola, è come essere posseduti.

Addirittura.

La parte più emozionante è quando ti rendi conto che hai scritto qualcosa di potente. Che quelle venti righe a stampatello, alle quattro di mattina, con mezzo lapis con la punta basculante, in quel foglio A4 ciancicato, contengono il detonante per una risata.

Dev'essere una bella sensazione.

Quel pezzo di cellulosa diventa la ricetta magica per cui la gente in un attimo cancella tutti i pensieri negativi. Una psicodroga grazie a cui quelli che ti ascolteranno non sentiranno dolore o tristezza. Forse è proprio questo che inconsciamente vogliono i comici.

E' vero che siete tutti malinconici?

Io non sono malinconico, sono profondamente triste e noioso. E penso che bisognerebbe educare alla tristezza e alla solitudine.

Il tuo personaggio del cuore chi è?

Goffredo Brolini, il motociclista. Il casco che portavo in scena era quello del mio babbo Assunto. Da giovane aveva la moto truccata: faceva le corse con il treno da Indicatore a Ponticino e attraversava il passaggio a livello appena prima che tirassero giù le sbarre. Mi ha trasmesso questa passione.

La moto è pericolosa.

Ho un Monster 900 ingestibile. Una volta, a Palazzolo, caddi male. Dolori ovunque, emorragie interne, quando mi rialzai fui contento di essere ancora vivo. Avevo 35 anni.

Ma come te li inventavi i personaggi?

Dipende. Alcune volte erano ispirati da persone incontrate nella vita reale.

Per esempio?

Un giorno notai in un locale un tizio sulla quarantina, non ubriaco ma visibilmente fuori piombo. Arrivò al banco del bar, c’era la fila e aveva bisogno di carburante. Si guardò intorno e s'attaccò al bicchiere delle mance con il liquido blu, ma lo posò subito. Sicuramente per lo scarso contenuto di ottani.

E poi?

Lì, in quel momento, vidi il personaggio di Delmo in gita che beve tutto il liquido blu e rivolgendosi al barista dice: me ne faccia un altro ma senza i spicceli dentro! Tutto partì per girare intorno a quella battuta. Se non avessi incontrato quell’imbenzinato non avrei potuto scrivere uno dei monologhi più belli. Oggi che c'è internet e va tutto troppo veloce, riguardo i nostri vecchi personaggi e mi accorgo che avevo bisogno di lentezza. E di una guida.

La guida chi era?

Santino. Io ho perso mia mamma Antonietta a 5 anni. Mio babbo lavorava al fabbricone, non c'era quasi mai. Vivevo nelle famiglie degli altri, sono stato allevato dalla società. A volte, ero piccolo, restavo solo a casa con il temporale. Hai presente?

Ho presente.

Quando cresci per strada, ti mancano dei pezzi. Santino è stato uno dei pochi che ha integrato i miei tasselli mancanti, mi ha tolto rabbia, me l'ha veicolata nei canali giusti. Fossi nato in un paese islamico, sarei diventato un uomo bomba.

In quali strade di Arezzo sei venuto su?

Via Libia. Buttavamo i gatti dalle finestre, prendevamo le denunce. Le mamme dicevano ai figli di non giocare coi bambini delle case popolari. Che eravamo noi. Ma la mia creatività nasce anche da questo.

Ti consideri un creativo tu?

Ho avuto la fortuna di nascere povero e la povertà è il concime della fantasia: bastava uno stecchino del gelato in mezzo ai raggi della bicicletta e ti sentivi già in motorino. A otto, dieci anni, eravamo esploratori estremi: ci infilavamo nei cunicoli in fortezza oppure andavamo alle rovine del colle del Pionta a rovistare negli ossari. Si arrivava lì con un'innocenza disarmante. Si prendeva un teschio in mano e si diceva: ti presento il mio amico secco!

Ma dai.

Una volta con due femori e una rotula, a forza di colpi tipo golf, siamo arrivati in via Vittorio Veneto. Imbecillità allo stato puro. Un mio amico trovò a Castelsecco una forchetta di bronzo, forse di epoca etrusca o romana. La portò alla sua nonna perché le serviva per montare le chiare a neve. Lo so, eravamo da arresti domiciliari ma allora era diverso. Non se capiva una sega ma ce se divertiva parecchio.

Quindi la risposta è sì, ti consideri un creativo.

Lo sono. Ho il diploma da perito elettronico, sono un elettricista specializzato in illuminazione. Ho anche lavorato in subappalto per l’architetto Baciocchi, in Italia e all'estero. Per me è stata una scuola. Ho realizzato l'impianto luci per il museo della Fraternita. Quest'attività ha rappresentato un antidolorifico per me.

A proposito. E' vero che sei un mago dei presepi?

Me la cavo. Presepi astratti, sospesi su mensole stratificate e fumanti, i Re Magi in motocicletta. Uso solo la borraccina del bosco, unica licenza fuori legge che mi concedo oltre a superare i limiti di velocità.

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Come mai perito elettronico?

Alla fine della terza media la professoressa di educazione artistica consigliò mio padre di iscrivermi all’istituto d’arte perché ero bravo a disegnare. Lui rispose: Sieee! A fare l’pittore, a vedè si more de fame! Se il mì figliolo vole tenere il pennello in mano andrà a fare l’imbianchino! Era contrario a qualsiasi forma di esibizione.

E quando sei diventato qualcuno, come reagì?

La prima volta che mi vide su Teletruria mi disse: che vergogna, chissà che dirà la gente! Quando si rese conto che gli facevano i complimenti per quel figliolo così simpatico, tornò a casa e fece: visto che s’è così bravo a fare il coglione, vedi d’esser bravo anche a rimettere a posto la camera! Era il suo modo per farmi un complimento.

Com'era tuo padre?

Caratterialmente era il massimo dell’efficienza col minimo della comunicazione: sapeva fare tutto e molto velocemente, anche in casa, ma non era possibile il dialogo. Se gli facevi un discorso che conteneva più di venti parole, cominciava a smusare come un musulmano davanti al camioncino della porchetta. La sintesi era la sua forza, che poi ho traslato nel personaggio di Brolini. Se n'è andato dopo tutti i suoi colleghi della Sacfem. Lavorava in una buca in mezzo all'amianto, non l'ho mai sentito lamentarsi. Mi ha insegnato la libertà.

Vero?

Sì. Da mia mamma ho preso l'inventiva. Aveva la quinta elementare ma faceva dei ritratti bellissimi. Diciamo che il mio è culo genetico. Anche se la morte di mia madre fu una brutta botta. Asma bronchiale, medicine sbagliate.

Ti manca?

Mi è mancata ma mi ha lasciato tanto. La sento molto dentro. Da bambino mi mancava perché gli altri ce l'avevano e io no. Era quella la vera tortura. Senza l'abbraccio di una mamma, la vita è dura. Ma lo è stata pure quando ho perso mia moglie.

Quand'è successo?

26 maggio 2018. Tumore al cervello. L'ho vista morire due volte, prima nell'anima e poi fisicamente. Stavamo insieme da quando avevamo 16 anni. Avevo sognato una famiglia solida più di tutto il resto, anche più del successo, e invece mio figlio Leonardo, che adesso è maggiorenne, ha vissuto il lutto che avevo vissuto io. Quando un giorno il Signore mi chiamerà, la tavola gliela sparecchierò volentieri.

Come hai fatto ad andare avanti?

Chi non ha mai avuto problemi, è meno forte geneticamente. La società ci vuole malati di rancore e di rabbia, ma io questa soddisfazione non gliela do. Le cose brutte ti fanno diventare una persona migliore.

E' anche per questo che non torni sul palco?

La comicità è l'altra faccia della sofferenza. Non c'è grande artista che non abbia sofferto. La verità è che non pubblico niente da anni perché non ho cose interessanti da dire.

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Neanche sul covid?

Sono un kamikaze virale, durante la pandemia leccavo i corrimano delle scale della stazione perché c'ho l’anticorpi col cultello a stretto ai denti! Scherzi a parte, mi sento un vaccinato pro no vax. Non sono no vax ma mi piace la gente no vax. È bello che si possa dire pubblicamente: ora c’avete rotto i coglioni, ora basta! Non mi importa se la causa è giusta o sbagliata, è bello che si possa fare. Non da tutte le parti è possibile manifestare, consideriamola una ricchezza.

La segui la politica? Per chi voti?

Politica, sport, spettacolo sono distrazioni di massa. Tutti a polemizzare sui tamponi, sul green pass e intanto aumentano la luce, il gas, la corrente. Passata la febbre, arrivano le bollette.

Quanto ti senti aretino?

Tanto. Mi sento aretino per i sughi e, da ex pescatore, per la semifogna della Chiana. Dagli odori più buoni ai puzzi più forti.

Hai rimpianti nella tua vita?

Vado poco in moto. Non ho più tempo per stare dieci ore a pesca. Ma non ho rimpianti, anche se sul palco mi sentivo libero come non mi sono mai sentito altrove. Santino mi ha tolto i ferodi ai freni inibitori. Molti si sarebbero preoccupati: cosa ne penserà il prete? E quelli di destra? E quelli di sinistra? Io me ne fregavo. Me fate tutti schifo!

A quella battuta, in platea tutti ridevano. Ma si capiva che non stavi recitando.

E' vero, mi facevano tutti schifo. Qualcuno che stimo però c'è. Il dottor Vincenzo Bellomo di Firenze, osteopata, mi ha insegnato la tecnica per rilassare l'intestino. Ho il morbo di Kron, in passato sono stato malissimo. Adesso sono un malato cronico asintomatico, riesco a staccare la pancia dalla testa. Come cura assumo un salsiccio al foco, lo uso come stupefacente.

Anno nuovo, vita nuova si dice. Cosa chiedi al 2022?

Di rimettermi in sesto fisicamente. A giugno non riuscivo a correre per più di venti metri. Se ho recuperato forza è grazie ai miei amici. Mi hanno aiutato, sono stati dei missionari.

L'amicizia è veramente un tesoro.

Ognuno di noi nella vita porta con sé un secchio di merda e uno di cioccolata. Io li ho avuto grossi entrambi.

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