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Giostra Saracino

Vedovini, il record di Martino e l'ultimo giro di Giostra. "Penso solo a vincere. Il mio futuro? Ho già deciso"

Oltre vent'anni di carriera, dodici lance d'oro, sedici volte sulla V e il domani che sembra scritto. Intervista al giostratore simbolo di Porta Sant'Andrea, a caccia di un altro primato. Tra ricordi, grandi imprese e un'era di Saracino vissuta sempre da protagonista

Ventiquattro anni di carriera, dodici lance d'oro, sedici volte sulla V, trentuno volte sul IV e la quarantesima Giostra, quella del 5 settembre, che potrebbe essere l'ultima. Enrico Vedovini è l'icona di un quartiere che ha affidato sogni e speranze alla sua classe, il veterano della manifestazione più amata, il simbolo di un'epoca (forse) irripetibile. Il Saracino gli è cambiato sotto le briglie: le fotocellule, gli allenamenti da professionisti per dodici mesi, il quattro e quattr'otto andato in soffitta, il centro da colpire sempre più spesso perché sennò gli altri ti fregano e non vinci più. Eppure lui è rimasto in sella con la naturalezza di chi, tra la polvere della lizza e il roteare del buratto, si sente a casa.

Ma la prossima sarà veramente la tua ultima Giostra?

Mi sto sforzando di pensare solo al presente, giuro. Quello che succederà dopo lo vedremo, anche se ho le idee chiare e in cuor mio ho già deciso.

Il tuo contratto scade quest'anno. Dunque lasci?

Ho avuto la tentazione di lasciare nel pieno della pandemia, non vedevo spiragli per la Giostra. Però ho pensato che siamo tre quartieri in testa all'albo d'oro con 37 vittorie. Che quando ho cominciato, Sant'Andrea era parecchio indietro. E che mi sarebbe piaciuto tornare in piazza almeno una volta. Ed eccomi qua.

Ti fa paura il dopo, dì la verità.

No, questo no. Ho 45 anni, per un giostratore sono un bel fardello. Ho una famiglia che chiede attenzioni, un lavoro che mi impegna. E vorrei evitare di lasciarmi male con il quartiere, com'è successo a tanti prima di me in questo ambiente. Chiudere tra screzi e rapporti rovinati mi darebbe grande amarezza. Bisogna farsi da parte quando è il momento giusto. Quindi non ho paura, anche perché mi piacerebbe insegnare ai giovani.

Un classico.

Lo so, ma sarebbe una soddisfazione. Vedo tanti ragazzini che vanno a cavallo e sognano di arrivare dove sono arrivato io. Mi guardano come fossi chissà chi mentre io mi rivedo in loro, penso a quando ero un cittino che voleva giostrare in piazza. Con l'impegno, ci si può fare.

Tra questi ragazzini sognanti c'è anche tuo figlio?

Ha 12 anni, a cavallo si diverte. Mastica la Giostra da quando è nato, è normale che un pensierino alla piazza lo faccia. Chissà...

Avrebbe un padre ingombrante.

Ma sarebbe una bella sfida per lui.

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Hai mai pensato di finire a un altro quartiere?

In questo momento assolutamente no. Qualche anno fa sono stato lì lì per cambiare. Era il 2006, a Sant'Andrea le cose non andavano bene, si erano incrinati certi equilibri. Fui vicinissimo a Colcitrone.

Però?

Però a Porta Crucifera saltò il consiglio del quartiere, Sant'Andrea mi convinse e restai. Da quel momento cominciammo a vincere.

Come ci arrivi a questa Giostra così strana? Qualche settimana fa non eri molto convinto di correrla.

La situazione era molto più ingarbugliata, ritenevo che sarebbe stato meglio attendere un altro anno. Adesso, tutto sommato, mi aspetto l'atmosfera di sempre.

Questi due anni di sosta forzata ti hanno arrugginito?

Per fortuna no. Con Tommaso abbiamo dovuto cambiare preparazione perché di edizione ce n'è una sola, ma mi sento bene. Faccio meno fatica, ho più serenità, più metodo. In passato invece mi succedeva spesso di arrivare alla Giostra con qualche problema.

Tecnico o psicologico?

Psicologico. L'esperienza ora mi aiuta.

Hai scelto il cavallo con cui correrai?

Ne sto utilizzando due. Pine ha già corso una prova generale con Filippo Fardelli, Stella Cometa sarebbe al debutto. Vediamo come vanno le prove, ma credo che andrò in piazza con Pine.

La prossima sarà la tua quarantesima Giostra. Se ti volti indietro, cosa vedi?

Ci penso spesso a quello che ho, anzi abbiamo combinato in questi anni e sempre mi vengono i brividi. Ho vinto e perso tanto, ho perso addirittura con un dieci, ma ricordo solo le cose belle.

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Tipo?

L'esordio con Sepiacci, i primi tempi in coppia con Martino, il legame col Bricceca. Ma anche il rapporto con Angiolo Checcacci, una figura insostituibile per me. E tutte le vittorie.

Quale ti è rimasta nel cuore un po' di più?

Quella del 2015. Tre volte sul cinque, lancia d'oro conquistata dopo gli spareggi con Santo Spirito. Un orgoglio incredibile.

Martino Gianni cosa ha rappresentato per te? Un amico, un rivale, una figura ingombrante o qualcos'altro?

Rivale mai, nemmeno quando eravamo avversari. Se oggi sono qui, lo devo a lui. Ero un giovanotto che faceva gli ostacoli con il cavallo, Martino mi portò dentro la Giostra. Il rimpianto è che ci siamo lasciati troppo presto.

Se ti andasse bene il 5 settembre, lo raggiungeresti a quota 13 lance d'oro. Un record.

Lo so, lo so. Io sono già contento così, ma non nascondo che dal punto di vista simbolico sarebbe una gran cosa.

A chi senti di dovere un grazie?

A tante persone. A Silvano Gamberi, a Marco Filippetti, con i quali ho condiviso splendide giornate a cavallo. A Mauro Lanucci, che ci ha lasciato due mesi fa: domenica prossima sarà la prima volta senza di lui. A Faliero Papini, il Rettore: gli si illuminavano gli occhi quando parlava di me. Mi ha voluto bene, gli ho voluto bene.

Il tuo rivale più forte chi è stato in questi anni?

Elia e Gianmaria, lo dicono i numeri. Sfidarli è sempre una faticaccia ma se sono ancora qua è anche grazie a loro. Diciamo che la mia carriera è come un quadro che in tanti hanno contribuito a colorare. Mancherebbe solo l'ultima pennellata.

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