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Cronaca

Archivio di Stato, la parola alla difesa: memoria di Saviotti e D'Agostino. "Responsabilità da ricondurre al Ministero"

I legali dei due dirigenti hanno sostenuto che di fatto i loro assistiti non sarebbero stati "datori di lavoro": questo ruolo sarebbe stato di fatto del Ministero

Di fronte al giudice hanno parlato le loro memorie. Quelle consegnate dagli avvocati difensori che spiegano le posizioni dei dirigenti dell'Archivio di Stato. Ieri in udienza preliminare, di fronte al gip Claudio Lara, è stata la volta delle difese. Con i legali del direttore dell'Archivio, Claudio Saviotti, e della persona che lo ha preceduto, Antonella D'Agostino - rappresentati da Roberto e Simone De Fraja - che hanno presentato agli atti la memoria nella quale si sostiene che alcune specifiche responsabilità debbano essere ricercate direttamente al Ministero. Perché? Perché i dirigenti non avevano autonomia di spesa e dovevano rendere conto al ministero: questo farebbe venire meno la condizione di "datori di lavoro" e quindi alcune importanti responsabilità. Mentre per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, sarebbe stato lo stesso Mibac ad affidare all'Igeam di Roma i compiti tra i quali anche i corsi di formazione. 

L'udienza preliminare vede imputate 13 persone e la decisione del gup sul rinvio a giudizio è attesa per il prossimo 6 aprile. Durante il procedimento il giudice non ha inserito il Ministero dei beni culturali e quello degli Interni (oltre a tre aziende private) tra i responsabili civili del procedimento. In sede di causa civile, però, potrebbero essere tutti soggetti a richiesta danni dalle parti lese. 

La tragedia e la ricostruzione degli inquirenti

Ma cosa accadde quel drammatico 20 settembre 2018? Filippo Bagni e Piero Bruni morirono intossicati dal gas argon in seguito ad una una serie concatenata di eventi legati al malfunzionamento dell'impianto antincendio. I due impiegati erano da poco entrati al lavoro quando si accorsero che la spia dell'impianto si era accesa e sentirono il rumore tipico di una fuoriuscita di gas. Corsero nel seminterrato e aprirono la porta dello stanzino dove si trovava l'impianto. L'area era però satura di gas (argon e anidride carbonica) e rimasero così senza ossigeno. Nulla, stando a quanto ricostruito durante le indagini, li avrebbe messi in allerta sul pericolo: nessuna spia che indicasse una presenza minima di ossigeno era stata installata. Allo stesso tempo una valvola montata al contrario - sostengono i periti - "non era collegata a nessuna tubatura che convogliasse all'esterno del locale di stoccaggio bombole" il temibile gas, portando alla saturazione.

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