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Sabato, 27 Aprile 2024
Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

La chiesa "metafisica" di Antria

Un luogo che sembra uscito fuori direttamente da un quadro di Giorgio De Chirico

A nord di Arezzo la frazione di Antria, incastonata in una zona collinare di grande pregio paesaggistico, conserva un luogo che sembra uscito fuori direttamente da un quadro di Giorgio De Chirico: la chiesa di San Michele Arcangelo.
La sua architettura rimanda al “Novecento”, quel movimento nato in Italia negli anni Venti del secolo scorso, che proponeva un ritorno all'ordine delle arti dopo le sperimentazioni avanguardistiche e gli eclettismi accademici che avevano caratterizzato i due decenni precedenti. La corrente non rifiutava la modernità, ma si ispirava all’armonia dell’antichità classica da reinterpretare e semplificare per dare vita a qualcosa di nuovo. Non a caso in architettura si parlerà anche di “neoclassicismo semplificato”. 
Nei progetti degli architetti novecentisti le corrispondenze con le “piazze metafisiche” di De Chirico erano lampanti. 

Il nuovo edificio sacro di Antria fu costruito a partire dal 1933, nel pieno di quella tempèrie culturale, su disegno dell’architetto aretino Aldo Giunti. Il 9 agosto 1936 ci fu l’inaugurazione del vescovo di Arezzo Emanuele Mignone e da subito la chiesa si presentò come un riuscito tentativo di unire il passato – la pianta è nel solco della tradizione delle basiliche cristiane – e i nuovi orientamenti architettonici del neoclassicismo semplificato e del primo razionalismo. 

La chiesa “metafisica” di Antria


 
L’edificio venne realizzato al posto del precedente di origine medievale e più volte rimaneggiato nei secoli, ormai troppo angusto per la cresciuta popolazione della zona. Nei decimari di inizio Trecento la chiesa era citata come dipendente dalla vicina pieve di San Paolo a San Polo. Nella visita pastorale del vescovo aretino Francesco da Montepulciano del 1424 la “ecclesia Sancti Angeli de Antria” appariva “ben costruita e opportunamente ornata” e anche i visitatori dei due secoli successivi spesero quasi sempre parole positive sulle condizioni del luogo. Al momento del suo abbattimento per la realizzazione della chiesa novecentesca, Angelo Tafi scriveva che la facciata aveva un aspetto settecentesco, frutto quindi di un rifacimento in quel secolo, ma che sul fianco destro si notavano ancora le pietre del vecchio edificio rimaneggiato o costruito tra il XII e il XIII secolo in stile romanico.

Immersa in una scenografica area verde ben curata e circondata da alti cipressi, la chiesa progettata da Giunti si presenta esternamente con parti intonacate e altre in pietra faccia a vista. L’abside è semicircolare con due monofore, il campanile a torre quadrangolare. 
Il bellissimo portico di accesso, con le sue grandi arcate, è impreziosito dal “Crocifisso tra la Madonna e San Giovanni dolenti” affrescato dal bolognese Francesco Dal Pozzo, pittore, incisore, mosaicista, decoratore, grafico pubblicitario e scenografo vicino al movimento Novecento, che dal 1927 al 1929 insegnò all’Accademia di belle arti di Bangkok, dove poté approfondire anche le tecniche incisorie orientali, poi ammirate dal pubblico e dalla critica nelle sue partecipazioni alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Per la chiesa di Antria Dal Pozzo, che l’architetto Giunti aveva conosciuto a Milano, eseguì anche un “Sacro Cuore di Gesù”. 

All’interno, a navata unica, si nota un uso raffinato del travertino già a partire dalle due acquasantiere dell’entrata, dal   sacrario dei caduti delle due guerre mondiali a destra e dal fonte battesimale a sinistra. 
Tra le opere appartenute agli altari laterali della precedente chiesa, si ammirano nella parete destra “Sant’Antonio da Padova e San Mauro Abate” e nella parete sinistra “La Madonna del Rosario”, entrambe seicentesche di scuola toscana, restaurate negli anni Novanta. La seconda precede la cappella laterale sinistra che ospita una rappresentazione dalla datazione incerta della “Madonna addolorata” che tiene il corpo di Cristo tra le braccia.

Notevoli sono le due opere bronzee del lastrigiano Mario Moschi, uno degli scultori e medaglisti italiani più apprezzati della prima metà del secolo scorso per lo stile connotato da forme solide ed essenziali, sempre in cerca d’equilibro tra tradizione e modernità. L’autore aveva avviato fin dal 1928 una proficua e duratura relazione artistica con il territorio grazie al rapporto con Pier Ludovico Occhini, futuro podestà di Arezzo, che per il giardino della sua villa a La Striscia gli commissionò quattro sculture. 
Tra i suoi vari lavori aretini, eseguiti principalmente tra il 1936 e il 1938, si segnalano anche quelli per la chiesa di San Michele Arcangelo di Antria che raffigurano la “Madonna del Popolo” nella cappella laterale destra e il “Crocifisso” per l’altare maggiore. 

Nel 2002, come recita una targa nella controfacciata, si conclusero gli interventi di consolidamento, restauro e sistemazione dell’ornamento dell’edificio, a cura dell’architetto Marcello Donati. Negli ultimi anni altre opere hanno arricchito il patrimonio di arte religiosa, come la splendida terracotta policroma invetriata dello scultore aretino Sandro Ricci, da lui battezzata “Madonna di Antria”, eseguita nel 2018 su commissione del parroco don Natale, le cui iniziali sono riportate nella parte inferiore della veste di Maria.  

Come avrete capito, visitare la chiesa di San Michele Arcangelo è l’occasione per scoprire una delle architetture sacre più interessanti del territorio aretino realizzate nella prima metà del secolo scorso. Lasciando l’auto nel piazzale di fronte all’edificio di culto, dove si trova anche una riproduzione in scala della grotta di Lourdes, si può inoltre partire per lunghe passeggiate nei colli a nord di Arezzo, da cui godere di scorci panoramici straordinari sulla città. Provare per credere.

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