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Trovato il baco del patatrac di Banca Etruria?

Sin dal momento del patatrac della vecchia Banca Etruria e delle altre tre banche è sorto il problema della valutazione molto modesta dei crediti in sofferenza data con la procedura di “risoluzione”. Un valore singolarmente basso che, a giudizio...

Sin dal momento del patatrac della vecchia Banca Etruria e delle altre tre banche è sorto il problema della valutazione molto modesta dei crediti in sofferenza data con la procedura di “risoluzione”. Un valore singolarmente basso che, a giudizio di molti, è stato la causa effettiva dell’insolvenza nel quadro di una operazione con molti punti da chiarire. Per esempio: per quale motivo non sono state neanche provate altre soluzioni, sia di mercato quanto di tipo legislativo, come è stato poi fatto, seppur facendo finta di niente, nei casi delle banche venete o di Monte dei Paschi? Altro esempio: per quale motivo si è messa in piedi una singolare operazione, per il momento per fortuna non più ripetuta, che ha comportato anche l’eccezionalità della confisca della banca ai proprietari, cioè ai soci azionisti? Esproprio, va da sé, che non mancherà di far esercitare i tribunali con possibili esiti anche dirompenti. Sul punto specifico della valutazione dei crediti in sofferenza ci sono stati articoli di stampa, trasmissioni televisive, interrogazioni parlamentari. Ma nessuna risposta: silenzio totale. Eppure da calcoli grossolani potrebbero emergere differenze allarmanti sulle valutazioni dei detti crediti con le prassi in uso almeno sino al momento del patatrac del 22 di novembre. Calcoli che potrebbero (possono?) far ipotizzare una sottovalutazione dei crediti per valori oscillanti tra il miliardo di euro e i due miliardi di euro. Cioè tra 2.000 miliardi di lire a 4.000 miliardi di lire. Cifre fantascientifiche che non sono mai state precisate da chi ha posto in essere la “risoluzione” delle quattro banche. Ed in verità neppure smentite. Banca d’Italia, con le sue Note di gennaio, ha rinfocolato queste perplessità visto che ha parlato di una percentuale di recupero, cioè di incasso, dei crediti in sofferenza del 35% nel biennio 2014-2015. Grosso modo la stessa valutazione fatta dei crediti in sofferenza di Monte dei Paschi, e senza citare la valutazione di addirittura il 45% che sarebbe stata fatta per analoghe situazioni in alcune banche di credito cooperativo. Ma rimanendo ai dati di Banca d’Italia un banale calcolo a braccio consente di ipotizzare una differenza di ben oltre un miliardo di euro. Ma non basta. Dice sempre Banca d’Italia che negli anni 2006-2015 la percentuale di recupero abituale era del 43%. Quindi in questo caso ci sarebbe una differenza di quasi due miliardi di euro. E resterebbe da comprendere come mai in un anno la percentuale di recupero sia crollata di quasi dieci punti, cioè una enormità. Ma tornando al novembre 2015 la cosa venne in qualche modo presentata con l’esigenza di fare una valutazione che trovasse un sicuro interesse nel mercato. Infatti Banca d’Italia parlava in quei momenti di un valore teorico di cessione immediata dei crediti seppur cercando di scaricare il barile sulla Commissione europea, come del resto provava a fare l’allora Governo con esiti esilaranti. Cioè, traducendo all’ingrosso, si poteva intendere una valutazione di liquidazione a saldo e stralcio per, in sostanza, consentire il funzionamento dell’operazione di “risoluzione”. Operazione, non ci dimentichiamo, spacciata, falsamente come la vicenda delle banche venete e di Monte dei Paschi si sono incaricate di dimostrare, per obbligatoria. Poi non è mai stato chiarito sulla base di quali precedenti di mercato sia stata concretamente costruita la modesta valutazione dei nostri crediti. Si è ripetutamente parlato addirittura di una vendita di crediti in sofferenza della stessa vecchia Banca Etruria di pochi giorni prima o, citando a memoria, di un precedente forse sloveno. Poca chiarezza anche su questo aspetto, come su tutto il resto d’altra parte. Comunque sia andata la preoccupazione che il mercato non dovesse avere interesse all’operazione era a dir poco eccessiva, come può la grande speculazione internazionale non trovare interessante una operazione che con un po’ di fortuna potrebbe anche farle guadagnare con pochissimo sforzo un miliardo di euro, o magari due? Non dobbiamo poi dimenticare che quella strana valutazione ha contribuito a terremotare una parte significativa del sistema bancario italiano, sempre per la gioia della grande speculazione finanziaria internazionale, come stiamo vedendo proprio in queste ore anche con la vicenda Unicredit. Insomma molte cose sono da chiarire. Un’altra curiosità, forse una delle più significative, è stata lo spostamento dei crediti in sofferenza dalle quattro banche in un’altra società. Seppur nel quadro della contorta operazione di “risoluzione” è un’altra stranezza. Di solito quando viene affrontato un’operazione di salvataggio di una azienda, ammesso che nel caso di Banca Etruria l’insolvenza ci fosse e non sia stata un prodotto della “risoluzione”, si cerca di conservare il patrimonio all’interno della società a garanzia dei creditori, dei soci, degli obbligazionisti e, se non soprattutto, dei dipendenti. In questo caso, invece, sono state scelte strade tanto impervie quanto originali, ma come se nulla fosse semplicemente in via burocratica e governativa senza un controllo della Magistratura. Circostanza molto curiosa in un paese dove anche per il modestissimo dissesto di un piccolo negozio si impegnano i tribunali con procedure defatiganti. Insomma, e per concludere, che sia sulla valutazione dei crediti in sofferenza il vero baco del patatrac della vecchia Banca Etruria?

P.s. E’ una domanda che abbiamo già fatto ma senza ricevere risposta: qualcuno ci vuole cortesemente dire cosa è stato fatto degli otto miliardi e mezzo di euro (16.000 miliardi di lire) di crediti in sofferenza tolti alle quattro banche il 22 novembre 2015?

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