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Economia

I timori per l'industria: 800 posti di lavoro persi nell'Aretino, ma 8mila "ibernati" dalla Cassa integrazione

L'Irpet: "Il ritorno al normale funzionamento dei mercati, con la rimozione dei vincoli emergenziali, rischia di provocare un’ondata di licenziamenti. Speriamo possa essere evitata dal miglioramento del quadro epidemiologico e il positivo riflesso sui consumi"

Come sta continuando a impattare la crisi economica legata all'emergenza coronavirus in provincia di Arezzo sull'occupazione legata all'industria? Il punto lo fa il barometro Covid sull'economia dell'Irpet (l'istituto regionale di programmazione economica della Toscana). "Come gli altri settori, anche la manifattura ha beneficiato, in questi mesi, del blocco dei licenziamenti e di un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, che hanno congelato il mercato del lavoro". Da qui una considerazione preoccupante: "Il congelamento dei licenziamenti e la Cassa Integrazione possono quindi aver messo fra parentesi una perdita di occupazione potenzialmente più alta di quella osservata, anche nella manifattura. Non considerare questo aspetto rischierebbe di sottostimare la dimensione complessiva, oltre quella di dettaglio settoriale e territoriale, della crisi che ha sofferto questo comparto".

La cessazione del lavoro e le stime sul congelamento

L'Irpet cerca poi di fare una stima più precisa possibile della perdita di lavoro in Toscana dal marzo 2020 ad oggi, rispetto all'anno precedente. "Stimiamo quindi il numero di lavoratori che hanno, di fatto, smesso di essere attivi dal primo giorno del mese di marzo, fino all’ultima data osservabile che è il 30 settembre. Questo conteggio restituisce l’intero sapore della crisi, e rappresenta un’informazione che fornisce un’adeguata quantificazione del lavoro perso in questi mesi dal comparto manifatturiero. Il calcolo è presto fatto. Ragioniamo in termini congiunturali, guardando cosa è accaduto fra marzo e settembre. I dipendenti nella manifattura, il 28 febbraio 2020, erano in Toscana circa 258mila. Circa 73 milioni sono state le ore di Cig ordinaria autorizzata fra marzo e settembre in questo comparto. Considerando che i giorni lavorativi in questo intervallo temporale sono stati 151, per un orario giornaliero di 8 ore (40 settimanali), abbiamo quindi una dote oraria ad addetto pari a 1.280 ore. Che significa un monte orario complessivo, calibrato sul numero di addetti presenti nel periodo in osservazione, pari a 312 milioni di ore. La cifra restituisce il volume complessivo di ore lavoro potenziali. Ne mancano all’appello 73 milioni. Significa quindi una contrazione complessiva pari al 23%, che corrisponde ad una perdita di unità di lavoro equivalenti pari a 60mila. Detto in altri termini, fra marzo e settembre è come se nel comparto manifatturiero non avessero lavorato 60mila addetti alle dipendenze con orario pieno. Il congelamento del mercato del lavoro, quindi, si è tradotto nel fermare l’attività di 60mila lavoratori equivalenti, in attesa di tempi migliori".

Non solo, ci sono poi i posti di lavoro effettivamente persi, non solo "messi tra parentesi". "Se a questa cifra - spiega l'Irpet - sommiamo il numero dei lavoratori cessati nel periodo, le unità di lavoro complessivamente osservate il 30 settembre 2020 sono 64mila in meno di quelle che avevamo ancora attive l’ultimo giorno del mese di febbraio. La Toscana in questi mesi ha, quindi, potenzialmente perso 64mila unità lavorative, di cui il 7% per effettiva cessazione e il 93% a causa di un’operazione di ibernazione, che è tutto da dimostrare possa essere rapidamente riassorbita".

Il quadro in provincia di Arezzo

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Il grafico soprastante del barometro Irpet - che suddivide la crisi per settori - fa intuire quanto dirompente possa essere stato l'avvento del Covid per le economie aretine. Situazione che diviene evidente nel confronto tra province. Quella di Arezzo è in assoluto la più colpita in Toscana dopo Firenze e Pisa.

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L'impatto percentuale è oltre la media della Toscana, dove le unità di lavoro congelate rispetto al totale sono il 23% e quelle definitivamente perse sono l'1,7%. Ad Arezzo invece per le unità ibernate la perdita è del 25%, mentre quelle perdute sono addirittura il 2,5% rispetto al totale

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Infine, con un più elevato dettaglio territoriale, il grafico che segue illustra i sistemi locali del lavoro che più hanno sofferto della contrazione del volume complessivo di lavoro, sia dato dal congelamento che dalla cessazione delle attività. E e quello cittadino di Arezzo registra un -21%, sono i sistemi della provincia a soffrire ancora di più, con Sansepolcro (-26%), Bibbiena (-33%) e Montevarchi (-33%) ad andare oltre la media della Toscana (-25%).

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Le conclusioni del rapporto

"La crisi da coronavirus ha comportato nell’industria in senso stretto una rilevante flessione di volume di lavoro". Tuttavia, precisa il report, "le stime di tale riduzione, riportate ad unità di lavoro equivalente, sovradimensionano la caduta della intensità di lavoro, poiché non tutte le ore di cassa integrazione autorizzate sono poi effettivamente utilizzate . Ma il dato complessivo che tiene conto del lavoro congelato con il ricorso agli ammortizzatori sociali, oltre che di quello cessato e/o non avviato, restituisce l’impressione di una difficoltà per l’apparato industriale della regione, sebbene diversificata settorialmente e territorialmente, non meno grave di quella vissuta dal comparto terziario".

Le prosepettive per il futuro

Cosa aspettarsi dunque per il futuro? "Da un lato - dicono gli analisti - l’incertezza comune a tutti i settori sulla evoluzione della pandemia; dall’altro, il timore di non essere in grado di riassorbire nei prossimi mesi i volumi di lavoro ibernati con la cassa integrazione. E’ questo un assillo esteso a tutto il sistema produttivo, ma che nell’industria, per il più accentuato ricorso agli ammortizzatori sociali, assume una connotazione di maggiore gravità. Fino ad oggi il blocco dei licenziamenti, in un comparto come questo, caratterizzato da una maggiore presenza di lavoro indeterminato, ha indotto le imprese a fronteggiare la caduta della produzione (-21% dall’avvio del lockdown ad oggi) con una massiccia riduzione di ore di lavoro. Il ritorno ad un normale funzionamento dei mercati, con la rimozione dei vincoli emergenziali, rischia di provocare un’ondata di licenziamenti che speriamo, invece, possa essere evitata da un miglioramento del quadro epidemiologico, ed il conseguente positivo riflesso sui consumi e la produzione. I danni prodotti nel mercato del lavoro dal Coronavirus sono stati subito tangibili e visibili in quasi tutti i settori terziari. Non ancora immediatamente visibili sul fronte occupazionale i danni nell’industria, perché attenuati dal ricorso alla Cig". 

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