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Martedì, 30 Aprile 2024
Psicodialogando

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A cura di Barbara Fabbroni

BLOG | La comunicazione in famiglia deve essere chiara ed efficace

La rete familiare, pur costituendo il primo nucleo nel quale il ragazzo cresce e organizza il suo essere nel mondo, può essere il luogo dove, lungo l’arco di sviluppo, emergono conflitti, soprattutto nella fase di sviluppo adolescenziale

La comunicazione è alla base dei rapporti tra le persone: in qualsiasi contesto nel quale ci troviamo è necessario mantenere una comunicazione chiara ed efficace. Ciò diventa fondamentale nel contesto familiare, nel quale si sviluppa gran parte della personalità del soggetto; pertanto, avere una buona comunicazione con il proprio figlio, permette di avere un buon rapporto e garantendo un valido appoggio nei momenti di difficoltà.

La rete familiare, pur costituendo il primo nucleo nel quale il ragazzo cresce e organizza il suo essere nel mondo, può essere il luogo dove, lungo l’arco di sviluppo, emergono conflitti, soprattutto nella fase di sviluppo adolescenziale, dovuti alle diverse esigenze che vanno via via sviluppandosi tra i membri della famiglia.

In tale periodo critico, la difficoltà comunicativa tra genitori e figli potrebbe portare a un allontanamento da parte dei minori e il conseguente sgretolamento del nucleo familiare ritenuto poco accogliente.

Spesso, questa difficoltà comunicativa è proprio il motivo fondamentale che porta a incomprensioni e a frequenti litigi.

Per rendere efficace una comunicazione potrebbe essere d’aiuto al genitore ascoltare in maniera attiva il figlio, ovvero andare oltre le parole che vengono dette, guardando i segnali non verbali (gesti, espressioni facciali, posture). Oltre ad ascoltare è necessario che si impari a esprimere il proprio pensiero su un argomento in maniera rispettosa, senza attaccare e sovrastare il figlio, ma spiegandogli il proprio punto di vista così da promuovere un confronto.

Di fondamentale importanza, in una comunicazione efficace all’interno del contesto familiare, è l’empatia, ovvero la capacità di immedesimarsi nei panni l’uno dell’altro (il figlio in quello dei genitori e viceversa); porre domande giuste per capire meglio il perché di un determinato argomento o parere e ascoltarne il feedback, ovvero la risposta dell’altro, grazie al quale è possibile capire se il figlio abbia recepito il reale messaggio trasmesso.

Dato che in una comunicazione esistono più interlocutori, ciò implica che tra di loro spesso si abbiano obiettivi, intenzioni e posizioni diversi gli uni dagli altri, ognuno dei quali degno di pari rispetto e legittimo: riconoscere e accettare questa possibile diversità pone già una base per una comunicazione e un ascolto efficace.

Ascoltare il proprio figlio ed accettare quello che vuole comunicare, senza rifiutarlo a priori partendo dalle proprie esperienze, mette le basi per una maggiore comprensione di quello che sta accadendo al bambino.

La comunicazione è una strada a due sensi. Studiosi di comunicazione umana come Bateson e Watzlawick affermano che uno scambio comunicativo implica sempre due livelli: un contenuto, cioè un’informazione da scambiare, e una relazione, vale a dire uno scambio, un rapporto fra gli interlocutori. Comunicando, infatti, non si condividono solo informazioni, ma viene definito il proprio Io, quello dell’Altro e la relazione intercorrente tra gli interlocutori.

Spesso, in ambito familiare, i figli lamentano situazioni in cui si è “uditi” ma non “ascoltati”: è il caso di quei colloqui in cui i genitori, sfruttando la propria posizione di autorità, restano sulle loro posizioni e di fatto non ascoltano il proprio figlio. L’effetto è che il bambino non si senta riconosciuto e si ponga, quindi, in una posizione di chiusura o di attacco.

Migliorare la comunicazione all’interno di tale ambito primario, vuol dire comprendere appieno i contenuti informativi, definire sé stessi e l’Altro in una relazione di fiducia e di alleanza, producendo conseguenze produttive per tutti.

Nel quotidiano siamo abituati a situazioni di “ascolto passivo” e di “ascolto selettivo”. Nel primo caso, la persona parla ma l’Altro non lo sente, cioè non si interessa né a capire i significati né a riconoscere l’Altro e la relazione. Nel secondo caso, l’interlocutore, filtra il messaggio sentendo solo ciò che vuol sentire.

È esattamente questa la modalità comunicativa spesso applicata tra genitori-figli che conduce a una comunicazione disfunzionale.

L' "ascolto attivo", ovvero ascoltare il messaggio nella sua interezza, dando piena attenzione sia al messaggio verbale sia a quello non verbale; capire le finalità, cioè cosa vuole ottenere o mostrare, è un ascolto di tipo partecipativo e dà all’interlocutore un’idea di attenzione e di volontà di negoziare e capire quanto espresso, che lo pone, a sua volta, nelle condizioni di fare altrettanto.

Tenuto conto che i messaggi vengono percepiti partendo dai propri filtri mentali, legati alle nostre intenzioni, pensieri, scopi ed esperienze, l’importante è limitare, per quanto è possibile le interpretazioni.

Ciò che viene recepito è sempre di tipo parziale, non ha valore assoluto di verità ed è fondamentale non arroccarsi sulla propria idea, partendo dal fatto che “so già cosa mi vuole dire”, alimentando pregiudizi e talvolta offuscando il vero messaggio.

Ascoltare con partecipazione, senza giudicare e partire dall’assunto che esistono posizioni diverse dalla propria e altrettanto legittime consente di rimanere aperti all’ascolto e a una negoziazione dei significati.

Se tutto ciò avviene in ambito familiare, educa e predispone il minore a una corretta comunicazione con tutte le relazioni esterne a tale ambito.

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