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Martedì, 30 Aprile 2024
Psicodialogando

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A cura di Barbara Fabbroni

BLOG | I 4 caratteri del bambino da non stigmatizzare

E' importante capire che cosa lo spinge a comportarsi in modo negativo per sé stesso

I bambini nel loro essere nel mondo narrano di Sé raccontandosi attraverso il loro Dasein. Nella piccola persona il Dasein ha, dal mio punto di vista, una modulazione ed un carattere particolare per la sua genesi e la sua struttura in formazione. Ritengo che proprio per questo sia importante non dare classificazioni o assegnare un’etichetta che rinvii a impressioni e giudizi che non rispettano e corrispondono alla sua vera indole. Il più delle volte colgono solo il lato esteriore, ovvero la superficie che si presenta all’Altro. 

Invece di stigmatizzare il carattere del bambino con giudizi che rischiano di immobilizzarlo in uno stereotipo, è importante capire che cosa lo spinge a comportarsi in modo negativo per sé stesso, prima ancora che con gli altri.

Il bambino timido: la timidezza è un sentimento universale che tutti conosciamo e che nasce da un senso di inferiorità che ognuno di noi ha provato da piccolo nei confronti degli adulti. La timidezza nasce da un temperamento iperemotivo che lo rende estremamente sensibile agli stimoli esterni. Se a questa vulnerabilità emotiva si aggiungono influssi ambientali negativi, è probabile che il bambino tenda a chiudersi nel suo guscio, sforzandosi di esercitare il massimo controllo sulle emozioni che avverte come un pericolo. La timidezza diventa così una copertura, un meccanismo di difesa che induce il bambino ad evitare le situazioni che possono mettere a nudo la sua fragilità emotiva ed esporlo cosi al giudizio degli altri. E' un bambino che ha bisogno di essere rassicurato e rafforzato nella sua autostima, mettendo in rilievo le sue qualità e nello stesso tempo accettando i suoi limiti. La paura di fare brutta figura, di rischiare un insuccesso, un rifiuto, un'umiliazione può emergere in molte occasioni. Non è facile per un bambino timido non solo rompere il ghiaccio e fare amicizia, ma anche unirsi ad un'attività di gruppo con altri bambini. Per lo più preferisce stare a guardare.

Il bambino aggressivo: la sua aggressività traspare anche dai gesti, dal tono della voce, dal modo di guardare, di afferrare le cose, di camminare, di mangiare. Perfino nelle manifestazioni di affetto, c’ è spesso quel “qualcosa in più”, in cui si avverte una energia eccessiva, che potrebbe trasformare la tenerezza nel suo contrario. Per poter incanalare le tendenze aggressive, sempre presenti in ogni bambino, bisogna prima di tutto aiutarlo a riconoscere dentro di sé. E dare un nome, un significalo alle azioni che provocano, trasformandole da semplici impulsi in emozioni, sentimenti, intenzioni. Il passaggio dalla "messa in atto” dell'aggressività alla sua trasformazione in pensiero consente al bambino di accettarla come parte di sé, del suo mondo interiore e di controllarla meglio, come tutto ciò che si conosce. E quindi fa meno paura. Questa elaborazione mentale avviene in parte spontaneamente attraverso il gioco e il sogno, che permettono al bambino di rappresentare in modo simbolico i suoi impulsi più conflittuali, come la violenza distruttiva e le paure che ne derivano. E' proprio quando il bambino è travolto dalla collera che è importante mantenere la calma, in modo da contenere la sua aggressività: si rende conto così che l’impulso che prova non è tanto terribile e distruttivo da annientare il buon rapporto che ci lega. Quando la tempesta è finita, è il momento di parlargli, non per fare delle prediche, che non ascolterebbe, se è di carattere molto impulsivo ed estroverso, ma per porgli delle domande che lo inducano a riflettere. Trasformare gli impulsi e le azioni in parole è già un primo passo per dare un nome e un significato a questi sfoghi incontrollati. Sara più facile riconoscerli. Non importa se non sempre il bambino ci riesce: almeno "sa" che cosa prova, e perché. E questa consapevolezza è già una grande conquista che apre la strada ad un maggior equilibrio nel rapporto con se stessi e con gli altri. Il bambino predisposto agli scoppi di rabbia è pieno di energie, di impulsi al movimento che la vita normale non permette di esprimere pienamente. Una valvola di sfogo è costituita dal gioco all’ aria aperta, dalle corse i salti, gli arrampicamenti.

Il bambino oppositivo: sa che cosa non vuole. Qualsiasi cosa gli si dica, gli si chieda , gli si proponga la sua prima risposta è sempre no. Anche la tendenza più o meno accentuata all'opposizione dipende non tanto dalla “qua!ità" di questa caratteristica, ma dalla quantità che diventa eccessiva quando il bambino si comporta come se non potesse fare a meno di dire sempre "no". E non solo quando si tratta di ubbidire a qualcosa che "non gli va". Di solito si cerca di insistere, di convincere il bambino, col risultato di aumentare la sua ostinazione Naturalmente ci sono anche bambini che non limitano la loro opposizione agli scontri verbali, ai contrasti di idee e di intenzioni. Ma disubbidiscono in modo determinato, freddo e soprattutto palese, senza timore di punizioni e sgridate. Da bambini come da adulti, il "no" è il modo più rapido e diretto per erigere una barriera fra sé e gli altri, per stabilire una differenza e mantenere una distanza. Ma il bambino oppositivo lo usa anche per proteggere il suo mondo interiore dalle incursioni altrui, che avverte come un pericolo anche quando non si scontrano col suo modo di sentire e di pensare. Il negativismo serve più per difendersi che per attaccare frontalmente gli altri, come fa il bambino collerico. Anche se il "bastian contrario" sembra un "duro", e fa di tutto per sembrarlo in realtà si tratta spesso di un bambino ipersensibile, che reagisce con particolare intensità agli stimoli esterni. Opponendosi assume un ruolo di “bambino cattivo” e se lo fa in modo aperto, provocatorio è perché non solo non teme le punizioni, ma se le aspetta. Anzi inconsciamente le richiede. Sono la risposta più coerente al suo gioco di sfida e di ribellione.

Il bambino pigro: un po’ svagato, sognatore, sempre assorto nei suoi pensieri e nelle sue fantasie, sembra che la sua vita scorra al rallentatore. Un po’ apatico poco emotivo, difficile da coinvolgere. Alla base di questi comportamene c'è quasi sempre un tipo di temperamento "lento", poco reattivo, che il bambino manifesta fin dalla nascita mostrandosi meno sensibile di altri agli stimoli esterni e meno rapido nelle reazioni. Poiché percepisce in modo attutito tutti gli stimoli, è raro che pianga o urli se si fa male, ma anche che si entusiasmi per un giocattolo nuovo. Anche crescendo è sempre tranquillo, cosi "buono", così poco esigente che spesso si finisce per lasciarlo in disparte. A differenza dei bambini timidi, aggressivi od oppositivi, non crea quasi mai dei problemi. All'asilo preferisce starsene in disparte e giocare da solo, piuttosto che unirsi ai compagni e "socializzare": non per timidezza, ma perché preferisce rimanere tranquillo nel suo piccolo mondo, piuttosto che uscire allo scoperto.

I falsi pigri si rifugiano nell'inerzia, nella pigrizia, trasformandola in una forma di opposizione passiva, un modo per esprimere la loro ribellione e l'ostilità. La lentezza può derivare anche da un senso di insicurezza, di scarsa fiducia nelle proprie capacità. Possono apparire lenti, pigri, poco intraprendenti, privi di iniziativa e di interessi anche molti bambini che sono invece dei grandi sognatori, così impegnati a "lavorare di fantasia", a seguire le loro idee, la loro immaginazione. Probabilmente hanno un temperamento introverso, che li rende inclini a pensare piuttosto che ad agire. Ma se si rifugiano troppo spesso nei loro sogni, è perché la realtà è cosi poco invitante, spesso scoraggiante, che preferiscono evitarla. Appena si sentono più amati e più incoraggiati, anche i piccoli sognatori cronici smettono di vivere continuamente sulle nuvole. Scendono in mezzo agli altri, senza rinunciare alla loro fantasia, ma utilizzandola in modo meno vago, più costruttivo e reale. Tocca a noi quindi avvicinarlo e proporgli di fare qualcosa che gli piaccia, conducendolo piano piano dall'inerzia all'attività. Naturalmente intervenire non significa affiancarlo in ogni attività sostituendosi a lui, ma sospingerlo inizialmente e poi lasciarlo andare, sollecitando il suo spirito di iniziativa. A poco a poco scoprirà di essere lui a "condurre il gioco".

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