rotate-mobile
ColtivarCultura

ColtivarCultura

A cura di Lucrezia Lombardo

Violenza giovanile e baby gang, lo psicologo: "Raccogliamo i frutti del buonismo"

Andrea Giostra: "I baby autori dei reati sono vittime del sistema educativo e culturale degli ultimi 30 anni"

Andrea Giostra è psicologo, psicoterapeuta, criminologo e scrittore. Ha alle spalle moltissime pubblicazioni ed è spesso ospite in trasmissioni televisive per la Rai e per le maggiori emittenti nazionali. Ho avuto il piacere di conoscere Andrea durante un confronto sul tema dello stato della cultura nel nostro paese. Tuttavia, Giostra ha un’esperienza pluriennale anche come psicoterapeuta e, di recente, è stato più volte chiamato in causa attorno al tema della violenza giovanile. Per approfondire con lui questo argomento, che costituisce una questione quantomai scottante anche per la nostra realtà cittadina, abbiamo deciso d’intervistarlo, così da comprendere meglio le cause del malessere giovanile, che conduce ai crescenti casi di violenza, tristemente noti.

Da psicologo clinico e criminologo quale sei, che idea ti sei fatto sulle possibili cause dell’attuale fenomeno della violenza giovanile, anche alla luce dei recenti episodi riportati dalla cronaca?

“Negli ultimi 30 anni chi ha gestito il potere della cultura e dell’educazione nel nostro Paese si è adoperato sistematicamente, con determinazione e con una chiara strategia demolitoria e di demonizzazione di quelli che erano stati fino ad allora i modelli educativi, culturali e di rispetto reciproco che hanno fatto grande nel mondo il nostro Paese, l’Italia. Dopo 30 anni di serrata lotta che ha esclusivamente basi ideologiche e nessun supporto scientifico come, per esempio, quello della psicologia dello sviluppo, della psicologia dell’età evolutiva, della neuropsichiatria infantile, della pedagogia, dei modelli educativi occidentali, della sociologia, della psicologia clinica e dinamica, i risultati sono quelli che oggi tutti noi abbiamo sotto gli occhi. Tieni conto che i fatti accaduti nell’ultime settimane, in questi mesi estivi, sono solamente una piccolissima parte del sommerso che c’è in tutta Italia, non solo nella mia isola, la Sicilia, dove sono venuti alla luce della cronaca crimini gravissimi commessi da adolescenti e giovani adulti a danno di altri adolescenti loro coetanei.

Il fatto che questi atti criminali adolescenziali siano emersi agli onori della cronaca, bisogna però aggiungere, è dovuto solo e soltanto perché ci sono state le denunce e la magistratura e gli investigatori si sono mossi immediatamente, ovvero, perché ci sono stati degli omicidi in pubblica piazza, come a Napoli per esempio. Altrimenti sarebbero rimasti nel sommerso, nessuno avrebbe mai saputo nulla, se non gli amici reali e virtuali prodighi di like sui social dove sono girati indisturbati per settimane i videoclip di questi crimini, oppure, i vanti raccontati su WhatsApp o su Telegram dove questi giovani criminali si congratulano a vicenda alimentando il loro malato narcisismo e dove sono sicuri di non essere mai scoperti.

In questi delitti sicuramente abbiamo due tipologie di vittime:

1) le ragazze e i ragazzi che hanno subito la violenza sono le vittime che più ci fanno orrore e impressione.

2) i ragazzi e le ragazze artefici delle azioni criminali e violente, che sono responsabili per la legge dei gravissimi crimini che hanno commesso, ma al contempo e paradossalmente, anche loro sono vittime del sistema educativo e culturale che negli ultimi 30 anni ha agito in Italia senza scrupoli e senza nessuna base scientifica, educativa e culturale.

Questo ci porta necessariamente a fare una riflessione: perché si è arrivato a tutto questo per questioni ideologiche basate sul buonismo, su genitori che devono essere prima di tutto amici dei loro figli e non il padre e la madre tradizionali che educano, rimproverano e se è il caso lo puniscono? Perché questo movimento pseudo-culturale ha puntato tutto sulla continua pacca sulla spalla anche quando il bambino, il ragazzo, l’adolescente, commette gravi azioni che non deve fare, ovvero, viola l’interdetto genitoriale che ha fini educativi come si è sempre fatto da migliaia di anni?

Questi ragazzi sono vittime dell’assoluta e completa assenza di educazione, almeno quella che noi nati nel Novecento abbiamo ricevuto e che ci ha permesso di essere gli adulti che siamo oggi.

A questo punto la riflessione ha una biforcazione: 1) O pensiamo, dopo oltre 100 anni, che lo psichiatra, criminologo e antropologo italiano Cesaro Lombroso (1835-1909) alla fine dell’Ottocento avesse ragione a teorizzare che ogni essere umano per il suo Dna, per la sua natura ancestrale e innata è "criminale" o "persona per bene", al di là dell’educazione che può ricevere dal momento in cui nasce fino all’età adulta; 2) Oppure siamo costretti a ritornare ai modelli educativi e culturali che hanno fatto grande il nostro Paese, che hanno avuto successo e che sono stati copiati da tutti i Paesi Occidentali.

Non c’è una terza via. Probabilmente, come disse Paolo Mieli in una interessantissima intervista rilasciata per il documentario “Treccani-Il volto delle parole” (https://www.raiplay.it/programmi/treccani-ilvoltodelleparole) prodotto nel 2019 da Rai Documentari e dalla Fondazione Giovanni Treccani degli Alfieri, che racconta la storia di come nacque e come si sviluppò l’Enciclopedia Treccani: “Il futuro si trova nel passato!”. Penso che in questo caso occorrerebbe prendere alla lettera le parole di Paolo Mieli e riprendere con forza e determinazione il timone di questa nave prima che affondi inesorabilmente in mezzo all’oceano. Ma per fare questo, mi rendo conto, e per questo ritengo che sia una missione impossibile per il nostro Paese, ci vuole un patto solido e forte tra lo Stato, il Governo e gli educatori, i genitori, gli insegnanti, i maestri di vita che i ragazzi incontrano e incontreranno nella loro vita.

Per ritornare al passato, faccio solo un paio di esempi dei modelli educativi dei quali parlo e che fino a 30 anni fa sono stati grandi modelli per tutti, salvo a un certo punto essere demonizzati dai fautori del buonismo estremo e del nichilismo a oltranza. Di esempi ne potrei fare decine, ovviamente, ma mi limito sono a questi due che tutti noi conosciamo, che hanno funzionato, che funzionano e che danno e hanno dato in oltre 100 anni di storia risultati ottimi a centinaia di migliaia di giovani: Il modello educativo dei Salesiani di Giovanni Bosco (1815-1888) e il modello educativo degli Orionini di Luigi Giovanni Orione (1872-1940), che da fine Ottocento inizi Novecento hanno educato in Italia e in tutto il mondo centinaia di migliaia di giovani che hanno costruito una loro sana identità, una professione, una buona educazione di convivenza civile, un modello di vita rispettoso del prossimo e della comunità della quale fanno parte, dove i doveri e i diritti sono e devono essere bilanciati.

Cosa che invece non è avvenuto e non avviene con il modello buonista e permissivo ad ogni costo che in 30 anni hanno imposto prepotentemente e cinicamente i signori dei quali abbiamo parlato prima.

Un modello educativo strampalato che trova il paio in serie Tv di grande successo, quali per esempio, ma ce ne sono altre di queste serie, gli “stili di vita di successo” presentati dalla serie TV “Gomorra” che non è e che non rappresenta per nulla una azione culturale e artistica di lotta alla Mafia o alla Camorra, ma proprio il contrario. In realtà Gomorra è ed è stata una formidabile e potente operazione di marketing che ha reso la cultura mafiosa e camorristica, il “brand mafia”, se vogliamo usare un termine tecnico che si usa in comunicazione, fortemente attrattiva e di straordinario esempio da seguire per centinaia di migliaia di adolescenti che guardano queste serie e che si identificano e si sono identificati con gli "eroi" negativi che la devastante politica culturale di questo personaggio e autore, e di altri come lui, rappresenta nel nostro Paese da quasi venti anni oramai, con la complicità e la scellerata collusione di una parte della politica, della “cultura” e del mondo di pseudo-intellettuali che popolano i salotti noblesse oblige del nostro Paese oramai in irreversibile rovina educativa e culturale. Ma v’è di più, come direbbero gli avvocati, serie Tv come “Gomorra”, oltre a essere di esempio nelle vita quotidiana che porta questi ragazzi follower a emulare nella loro vita reale le azioni criminali commesse in TV dagli attori protagonisti, hanno avuto e hanno su questi stessi ragazzi un potere attrattivo e di persuasione che li porta inevitabilmente a tentare il reclutamento nelle file della criminalità organizzata per beneficiare dei vantaggi economici e di benessere, oltre che di potere sugli altri, che il film rappresenta in ogni puntata. Sicuramente non sono Falcone e Borsellino gli esempi da seguire e da imitare nella vita reale suggeriti da queste serie TV, e questo è un altro fatto indiscutibile. Purtroppo tutto questo è, in estrema sintesi, un processo irreversibile di autodistruzione sociale frutto di ideologie anarchiche e nichiliste sposate da coloro che si auto-definiscono di sinistra (la sinistra in Italia è morta nel 1984 con Enrico Berlinguer) ma che di sinistra non hanno nulla e non hanno mai avuto nulla perché della sinistra non ne sposano e non ne hanno mai sposato i valori e le tradizioni culturali che, per esempio, il vecchio segretario Enrico Berlinguer era solito esporre nei tanti comizi e nelle tante adunate politiche. È questo un gruppo trasversale, coeso e ben organizzato, che gestisce parte del potere culturale, educativo e purtroppo anche politico del nostro paese. Un gruppo di personaggi che possiamo benissimo definire come 'estremisti nichilisti', articolato e composito, posizionato in tutti i gangli del potere del nostro Paese, che sembra avere quale esclusiva missione quella di distruggere il sistema civile e di convivenza sociale costruito dalla nostra cultura italiana in centinaia di anni.

Le conseguenze di questo sistematico annientamento dei modelli educativi tradizionali ha e sta avendo conseguenze devastanti e irreversibili in tantissimi adolescenti quali, per esempio, un “ego” smisurato, un incontrollato narcisismo patologico, l'assenza totale di empatia e di intelligenza emotiva senza i quali componenti intrapsichici che vivono dentro ognuno di noi, gli agiti di violenza estrema verso i pari, ma anche verso donne, anziani, persone con disabilità e adulti, non hanno nell'adolescente e nei giovani adulti alcuna possibilità di essere intimamente (sub-consciamente) impediti e interdetti da quello che Sigmund Freud nel saggio “L’Io e l’Es” (1922) definì Super-Io, ovvero, la componente subconscia della nostra personalità che si compone della coscienza morale, dell’etica, dell’empatia, dell’eduzione ricevuta, dei modelli positivi e nobili da seguire, che si costruisce nella persona dal momento in cui nasce fino all’età adulta attraverso l’educazione e il buon esempio dei genitori, degli adulti e degli educatori, in grado di contrastare e frenare le pulsioni più ancestrali e primitive dell’Es che altrimenti ci farebbero commettere azioni delittuose e criminali continuamente.”

Quali pensi che dovrebbero essere le principali linee d’intervento, a livello collettivo, per arginare il fenomeno della violenza giovanile?

“Il consiglio principale da dare in questi casi è quello di basare il futuro dei giovani, da quando nascono fino all’età adulta, su una buona educazione e una buona cultura che deve coinvolgere e vedere protagonisti i genitori, la famiglia allargata, i maestri, gli insegnanti, gli educatori che questi ragazzi incontreranno nella loro vita, ma anche i rappresentati delle istituzioni e delle forze dell’ordine ai quali è stato sottratto, mattone dopo mattone, sempre per la stessa politica demolitoria e nichilista a oltranza, il loro potere autorevole e di rappresentanti dello Stato a garanzia della libertà comune e del rispetto delle leggi. Tutte queste cose vanno insegnate ai bambini fin dalla tenera età: il rispetto per il prossimo, per i genitori, per i nonni, per gli anziani, per le donne, per le persone fragili, per i più bisognosi, per gli insegnanti e i maestri di vita che incontrano e incontreranno nel loro cammino su questa terra, ma anche il rispetto “doveroso”, e non uso a caso questo termine, per le istituzioni e per chi le rappresenta nel suo lavoro quotidiano che garantiscono la nostra libertà e il nostro vivere civile e pacifico.

Se questo non avviene, se questo non avverrà, allora avremo dei giovani e poi degli adulti pericolosi, molto pericolosi, come le cronache quotidiane ci dimostrano.”

Come dovrebbe agire la scuola e tutto il mondo educativo davanti alla spinta distruttiva di quei giovani che fanno della prepotenza il loro mito? E come è mutato - a tuo parere - il ruolo della famiglia nella nostra epoca e nella nostra società e quali sono le corresponsabilità dell’attuale modello educativo familiare nei confronti del malessere giovanile?

“Per rispondere a questa domanda facciamo un paio di esempi: oggi, e le cronache ne parlano quasi quotidianamente, accade che se un insegnante, un professore, un educatore rimprovera il ragazzo, l’alunno o lo studente perché ha fatto qualcosa che non doveva fare, perché ha violato volutamente delle regole, perché ha sbagliato qualcosa, perché ha studiato male, perché deve impegnarsi di più, questo ragazzo chiama i genitori che immediatamente si precipitano a scuola e minacciano fisicamente l’insegnante che si è permesso di criticare il figlio, o addirittura, come è spesso accaduto, usano violenza fisica picchiando il docente che ha osato criticare il figlio.

Oppure, altro esempio concreto delle cronache italiche: una mamma dà un sonoro schiaffo alla figlia dodicenne perché l’ha scoperta a postare nei suoi profili social foto mezza nuda e osé, per non dire pornografiche; la figlia, ricevuto lo schiaffo che gli ha procurato una leggerissima ferita sulle labbra, chiama i servizi sociali che fanno la segnalazione alla procura minorile che fa richiesta al giudice minorile di rinvio a giudizio della mamma per avere agito violenza sulla figlia, che poi, a seguito del processo, questa signora, la mamma, viene condannata a un anno e sette mesi di galera per violenza a danno di minori. A questo punto il meta-messaggio è chiaro, come direbbe Paul Watzlawick: colpirne uno per educarne cento di genitori che cercano di educare i figli nel modo tradizionale come siamo stati abituati noi nati nel Novecento.

A questo punto occorre concludere che il “sistema educativo sfascista attuale” costringe gli insegnati, i professori, gli educatori e anche i genitori, malgrado l’evidenza dimostri come questi ragazzi commettano azioni assolutamente non accettabili e contro qualsiasi forma di rispetto per se stessi e per il prossimo, ad applicare esclusivamente il “modello educativo del buonismo ad ogni costo”, altrimenti si rischia la galera, la prigione. La punizione, da questa prospettiva sfascista e nichilista, si trasforma in violenza fisica, ovvero, in violenza psicologica a danno di minori. E questo è un latro fatto.

Questo “modello educativo”, sottolineo ancora una volta in maniera chiara e forte, sfascista e buonista, è lo stesso modello educativo che è alla base ed è la causa principale dei crimini adolescenziali di cui si parla quotidianamente in queste settimane, in questi mesi, in Sicilia e nel resto del nostro Paese.

È un modo di (dis)educare i bambini e i giovani che non rappresenta altro che la fine della nostra civiltà e della nostra cultura.

Questo per dire che i fatti che vediamo tutti i giorni dalle cronache, dai mass media italiani, sono frutto di questa sub-cultura nella quale una buona percentuale dei ragazzi della Generazione Z e della Generazione Alpha, ovvero, i figli dei Millennial, di genitori nati negli anni Ottanta e Novanta, possono tutto, hanno solo diritti, e non devono essere puniti o rimproverati per niente e da nessuno, malgrado commettano azioni violente contro altre persone, pericolose per se stessi e per la propria famiglia, fuori da ogni regola scritta e non scritta del nostro stile di vita di convivenza civile che per secoli e secoli abbiamo costruito e ci siamo dati.

A questo punto occorre dire che se tu “educatore” non segui pedissequamente questo modello educativo buonista e permissivo ad oltranza, rischi la reazione violenta dei genitori, rischi di essere perseguito da certi giudici di certe procure minorili, rischi il posto di lavoro, proprio perché i discepoli e i paladini di questo scellerato modo diseducativo, nichilista e anarchico, non hanno nessun interesse a che i bambini, i ragazzi e gli adolescenti crescano nel rispetto delle regole e delle leggi che garantiscono alla nostra comunità la convivenza civile e il rispetto delle regole scritte e non scritte.

Mi rendo perfettamente conto che i miei consigli e tutto quello che faccio in questo settore servono davvero a poco, anzi, sono convinto che non servano proprio a nulla.

Dopo l’intervista che ho rilasciato qualche settimana fa al TG di Tele One, la TV privata più seguita in Sicilia con oltre 2 milioni di telespettatori al giorno, sono stato contattato da diversi genitori, insegnanti, politici di piccoli paesi della mia provincia, che mi hanno chiesto di dare loro una mano, di tenere un seminario, un convegno sui temi che ho toccato brevemente in questo servizio.

Chiaramente mi rendo e mi sono reso disponibile, ma so bene che servirà a poco. A una insegnante che mi ha chiesto di tenere un seminario nella sua scuola, un noto liceo di Palermo, e che continuava a dirmi che non dobbiamo e non possiamo arrenderci a questa sfacelo educativo e culturale, ho semplicemente detto quello che penso: quello che farò e che faremo insieme, sarà come lanciare un granellino di sabbia in mezzo al Sahara per fermare una tempesta di sabbia che sta arrivano per sommergerci.

A queste parole lei mi dice che probabilmente avevo ragione e a quel punto mi racconta un fatto accaduto nella sua scuola lo scorso anno scolastico. L’insegnate, durante un compito in classe di inglese, sorprende un ragazzo a copiare dal cellulare. Lo stesso ragazzo, pur non essendo mai stato brillante in inglese, anzi, proprio il contrario, termina il compito prima di tutti i suoi compagni e lo consegna alla docente per uscire dalla scuola prima degli altri. A quel punto la professoressa le fa una battuta tipo: “Ma com’è che improvvisamente sei diventato il più bravo della classe? Non è che hai copiato dal cellulare?”. Il ragazzo la guarda sorpreso capendo di essere sato scoperto, non dice nulla e se ne va. Termina la scuola, l’insegnate esce dall’istituto e si ritrova di fronte a sé i genitori del ragazzo che vogliono conto e ragione delle sue parole, che a momenti non la prendono a legnate perché, secondo loro, la docente aveva umiliato volutamente il figlio davanti a tutta la classe. E questo è un altro fatto.

Quello che accade nelle scuole italiane quotidianamente sono questi fatti e nessuno fa nulla, le istituzioni stanno zitte e il processo di decadimento procede irreversibile.

È per tutto questo che non sono ottimista, lo so bene, ma non lo sono perché vedo che chi ha il potere politico e culturale in Italia per cambiare rotta a questo processo divenuto inarrestabile e irreversibile, è lì sul Transatlantico che danza tranquillamente al ritmo dell’orchestrina del Titanic che affonda nelle acque dell’Atlantico”.

Da docente, vedo nelle scuole un proliferare di diagnosi che vengono applicate a ragazzi sempre più giovani. Come valuti questo fenomeno e quali sono, a tuo parere, le fragilità che andrebbero corrette anche da parte della scienza psicologica che, al pari del sistema educativo e della struttura familiare, pare presentare elementi di crisi?

“Questa cosa che mi chiedi è un’altra delle conseguenze improprie e disastrose che vengono portate avanti anche qui da professionisti che non hanno la capacità di vedere oltre i fatti che vengono esposti, di capire qual è il problema reale di questi ragazzi, che sono i problemi che abbiamo esposto nelle precedenti domande. Patologizzare qualsiasi disagio, qualsiasi lamentela, qualsiasi piccola e passeggera sofferenza adolescenziale, in questi casi, per questi professionisti, è la via più breve e facile da seguire che non porta e non ha mai portato a nessun risultato concreto di benessere.

Da un lato perché patologizzare un disagio generato da altre cause e non da un reale disturbo psichiatrico o da un grave malessere psichico, deresponsabilizza il giovane che inevitabilmente pensa (anche qui il meta-messaggio di Paul Watzlawick che dicevamo prima è molto molto potente): “Ok, sono malato, non posso essere curato, sono in cura, e quindi posso fare tutto quello che voglio perché tanto lo so, sarò sempre perdonato con un pacca sulla spalla, sarò sempre giustificato dalla mia patologia psichica che mi ha diagnosticato lo psicologo nel colloqui che ho tenuto a scuola”. Ecco, questo è quello che pensa il ragazzo al quale viene appioppata una diagnosi che il più delle volte non c’entra nulla con i reali problemi che vive. Un ragazzo che sicuramente non ha avuto una educazione all’insegna della disciplina, dell’impegno, del dovere, del sacrificio, della perseveranza, della punizione, della capacità di gestire la frustrazione che è un processo di crescita ed educativo potentissimo nella sana evoluzione di ogni essere umano. Un ragazzo, altresì, che non deve essere mai ripreso se fa male ed è disattento, se fallisce gli obiettivi e i risultati da raggiungere, e tutti gli step conoscitivi e formativi che prevede e dovrebbe prevedere una scuola seria che ha quale obiettivo prioritario quello di trasmettere cultura, sapere, esperienza di vita che devono permettere allo studente di acquisire alla fine del percorso scolastico le competenze per iniziare un corso di studi professionale o universitario.

Ottenere tutto questo è molto più difficile, e invece molto più facile patologizzare qualsiasi malessere, seppur temporaneo, seppur dovuto ai naturali turbamenti adolescenziali, perdendo di vista il reale scopo della nostra scuola.”.

Si parla di

Violenza giovanile e baby gang, lo psicologo: "Raccogliamo i frutti del buonismo"

ArezzoNotizie è in caricamento