rotate-mobile
ColtivarCultura

ColtivarCultura

A cura di Lucrezia Lombardo

“Immagini, suoni e parole”. Intervista a Sheila Concari, l’artista che ha fatto di Parigi la sua seconda casa

Nuovo appuntamento con il blog ColtivarClutura di Lucrezia Lombardo

Sheila Concari è un’artista “a trecentosessanta gradi”, da anni si occupa infatti di letteratura, video, immagini, suoni utilizzando ogni linguaggio espressivo in modo originalissimo. Con alcuni dei suoi disegni dedicati ai lupi -simboli ancestrali dell’inconscio e dell’istinto che si batte con la ragione per imporsi- la Concari ha esposto, nel gennaio 2021, presso Galleria Ambigua ad Arezzo, dando alla città un assaggio della sua arte. La particolarità espressiva e l’inesauribile ricerca sono forse i tratti più peculiari del linguaggio di questa intellettuale di origini italiane, ma che ha fatto di Parigi la sua seconda casa, esponendo presso alcuni dei più prestigiosi musei della capitale francese. Per comprendere meglio la poetica di Sheila, le abbiamo chiesto di raccontarci il suo percorso artistico ed esistenziale.

Come hai cominciato a interessarti all’arte? 

“Quando ho capito che l’arte modifica la relazione con la realtà. E molto presto. Sono stata educata con il medito Montessori. Ho scoperto la lettura e il disegno a due anni, e la scrittura a tre, così come l’ascolto della musica, della radio, delle voci, della voce. Forse per questa ragione ho la sensazione di essere nata con lo studio e l’invenzione, già equipaggiata degli strumenti per esprimere ed esprimermi. Con i libri, le penne, le immagini, i suoni. Non ho mai smesso di scrivere, di disegnare. Anche con un giocattolo simile ad un computer, una sorta di schermo piatto munito di due manopole che permettevano di disegnare, per poi cancellare tutto rovesciando la tavoletta. Quel proto happening era molto divertente. Elaborazione delle idee attraverso il segno, per trasformarle in oggetti udibili e visibili. La scrittura e il disegno sono alla base dell’atto di creare. È un’abitudine che fa parte di me. Ho avuto presto i mezzi e gli strumenti che mi hanno permesso di apprendere e comprendere. Resto convinta che si nasca con già delle conoscenze, che vengono sviluppate e perfezionate attraverso lo studio e il lavoro. L’arte è stata da subito il mio divertimento: l’opera, i musei, le biblioteche. Non potrei immaginare un’esistenza se non in questo mondo infinito, dove mi trovo a mio agio, un territorio che conosco da sempre e per sempre. E un grande privilegio”.

Ti definiresti "pittrice", "performer", "scrittrice", o cos'altro? Qual è la forma espressiva che senti più tua?

“Per quanto mi riguarda - riguarda me stessa e il mio lavoro - ogni definizione o tentativo di definizione, la nozione stessa di definizione mi ha sempre creato imbarazzo. Il definire è per sua natura impreciso, imprecisabile e per questo anche anacronistico. L’arte, così come la realtà, non potrebbero cristallizzarsi intorno alla parola definente.  

Volendo comunque scegliere un termine, che diventi allusivo utilizzerei piuttosto sperimentatrice. Ogni atto artistico è un’esperienza verso una scoperta, dunque un esperimento. Come ogni esperimento può riservare qualche imprevisto, nel senso fattuale o distruttivo del termine”.

Qual è il libro che hai scritto, a cui sei più appassionata?

“Non saprei proprio, perché dimentico del tutto quello che mi lascio dietro. E anzi più l’opera si precisa e si avvia al suo compimento, più inizio già a dimenticarla, a lasciarla dietro di me. Questo oblio è anche più definitivo della morte, di una morte indolore ma ineluttabile. Quanto ai libri, alla scrittura, li abbandono ancora prima della pubblicazione, al momento del « bon à tirer ». Se ne vanno e diventano un’altra cosa, lontana da me e da quello che hanno rappresentato per molto tempo, tutto il tempo necessario al compimento. Una volta pubblicati, non li rileggo mai, non li sfoglio nemmeno, mai più.Vivo nel presente. Dunque direi che il libro a cui sono più appassionata è quello che sto scrivendo ora”.

Ci racconti dei tuoi lavori come compositrice?

“Parlerei di composizione nel senso tipografico del termine. Si tratta piuttosto di una ricerca di materia sonora che catalogo, studio, assemblo. Mi interessa il suono in tutte le sue forme, la vocalità in particolare. Le voci diverse, parlate, urlate o cantate sono sempre un materiale complesso, denso, e stratificato- una materia da lavorare come nella scultura, anche a colpi di high tech. Soprattutto le voci mediate, registrate o telefoniche. La voce non mente mai, anche se ci prova. Se non c’è presenza fisica diventa molto più interessante. 

L’uso delle tecnologie non è preponderante ma funzionale. La trasformazione del suono ha un senso se non è narcisistica, distruggere e agire direttamente sulla materia per ricomporla. L’astrazione della scrittura musicale non mi interessa e comunque non mi appartiene. La trovo anacronistica. Gli intonarumori futuristi sono più contemporanei”. 

Cos'è che accomuna le molteplici forme d'arte che pratichi? Cosa ricerchi creando?

“Non riesco a determinare una linea di demarcazione tra le varie discipline. L’idea, le idee, si orientano verso l’una o l’altra forma espressiva in maniera osmotica. La mia ricerca è da sempre in bilico o in equilibrio tra suono e immagine, scrittura e vocalità, astrazione e figurazione. Ricerco nella creazione - o meglio nell’invenzione - la ricerca stessa”.

sheila GRM - copie

Si parla di

“Immagini, suoni e parole”. Intervista a Sheila Concari, l’artista che ha fatto di Parigi la sua seconda casa

ArezzoNotizie è in caricamento