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A cura di Lucrezia Lombardo

La fabbrica delle donne di plastica. Contro la "normalizzazione" della chirurgia estetica

Il genere femminile è, ancora una volta, il bersaglio privilegiato dal potere e le donne sono coloro che canalizzano, nel proprio disagio mascherato per emancipazione ed “eterna bellezza”, il malessere diffuso di una società che ha smarrito le vere priorità e che è preda di un egoismo incurabile

Donne giovani e giovanissime che ricorrono alla chirurgia estetica e plastica. La percentuale delle insoddisfatte cresce di anno in anno, senza distinzioni di classe e si abbassa l’età di coloro che, guardandosi allo specchio, si trovano inappagate dalla propria immagine. Ragazzine che per i 18 anni ricevono come regalo un seno nuovo, labbra nuove, sedute di liposuzione; donne tra i 30 e i 35 anni che non accettano i primi segni dello scorrere del tempo o che cercano di “ricostruirsi” a causa di un fallimento matrimoniale, di una delusione affettiva, di un cambiamento di lavoro. Ma il bacino di coloro che ricorrono ai rimedi della tecnica per riplasmare il proprio corpo non si ferma qui e, dai 40 in su, sono moltissime le donne che intendono arrestare, con ogni mezzo, i segni dell’invecchiamento, votandosi a una lotta senza quartiere per fermare le prime rughe sul volto, per rimuovere le borse sotto agli occhi, per dare alle labbra una pienezza del tutto innaturale e in linea con i modelli televisivi. Peraltro, in genere, sono le donne più belle, e che hanno fatto del loro aspetto fisico un elemento fondamentale della propria identità e sicurezza, quelle che con più facilità si affacciano alle tecniche estetiche e plastiche, ricorrendo al botulino, all’acido ialuronico, al filler, al laser alla biorivitalizzazione, sino a ricorrere alla blefaroplastica, al lifting facciale o alla mastoplastica, alla rinoplastica e alla liposuzione. E se, sino ad ora, non si è dato peso a questo fenomeno, l’aumento esponenziale di esso e la sua “normalizzazione” richiedono assolutamente che ci s’interroghi e che si analizzi l’attuale evoluzione del ruolo della donna nelle società occidentali. 

Il corpo plastico è infatti un’ideologia tipica dei paesi con maggior benessere e a sviluppo avanzato, aree del mondo in cui la medicina e le tecnologie ad essa connesse sono divenute, gradualmente, accessibili a vasti bacini di popolazione. In queste zone, l’emancipazione femminile ha ottenuto parità nei diritti, possibilità che le donne lavorino e facciano carriera, senza tuttavia riuscire a svincolare la condizione femminile dall’importanza dell’immagine corporea e, dunque, senza riuscire ad emancipare la donna dal suo essere - essenzialmente e fondamentalmente - un corpo, che deve quindi mantenersi giovane e bello. I progressi in cambio biomedico hanno, altresì, potuto raggiungere risultati inimmaginabili prima, che hanno permesso la realizzazione dell’ideale dell’eterna giovinezza. Ideale a cui le donne, anzitutto, si votano e che perseguono sui loro corpi con indescrivibile bramosia. Questo significa che persino molte donne con ruoli di potere, colte e intellettuali, nei fatti, non si sono ancora emancipate da quella concezione oggettificata e oggettificante che le vuole, essenzialmente, identificare con il loro aspetto fisico e con un ideale di bellezza innaturale, perché fuori dal tempo. Osservando infatti i volti e i fisici delle donne che hanno ricorso alla chirurgia plastica ed estetica, è facile rendersi conto della standardizzazione che tali tecniche attuano: visi tutti simili tra loro, in cui le labbra sono gonfiate, gli zigomi alti, il naso sottile e gli occhi tirati; corpi perfettamente tonici, in cui i glutei ed i sensi divengono catalizzatori di attrazione. Questa produzione in serie di donne-Barbie, conformi ai modelli consumistici e televisivi, denota una profonda frattura nella psiche femminile. Una frattura che non risparmia neppure le donne con i maggiori ruoli di prestigio nelle nostre società. La produzione di corpi in serie è diventata infatti analoga alla produzione di merci nelle fabbriche ed incarna l’apoteosi della tendenza delle donne occidentali odierne a concepire se stesse come perennemente inadeguate. I corpi femminili vengono così sottoposti a continui trattamenti migliorativi, secondo un ideale innaturale, che richiede alla donna una totale dedizione in termini di tempo e di dispendio economico e - ciò che più colpisce - è che sono gli stessi individui femminili ad applicare a sé simili standard senza, di fatto, che gli uomini lo richiedano. A questo proposito è interessante interfacciarsi con gli stessi chirurghi plastici, interessati a perpetuare tale tendenza per ragioni economiche e che, tuttavia, dichiarano di essere i primi a non comprendere come così tante donne siano affette da una non-accettazione di se stesse e a mettere in luce la tendenza compulsiva della chirurgia estetica e plastica. Chirurgia che, se da un lato migliora l’aspetto, dall’altro richiede ulteriori ricorsi e induce le donne ad aumentare la percezione dei propri difetti, invece che accontentarsi. Proprio come in un comportamento dipendente, la chirurgia plastica è dunque il campanello d’allarme di una profonda scissione che il sesso femminile vive attualmente nel contesto occidentale, che esalta il corpo plastico, il gender fluid e che ha dichiarato esplicitamente guerra, attraverso la tecnica, alla natura stessa, includendo in essa l’invecchiamento e la differenza sessuale. L’odierna lotta femminile all’invecchiamento e quindi alla stessa natura, prende il nome di Sindrome di Grimilde, in riferimento alla regina cattiva della celebre fiaba Biancaneve. Grimilde era infatti colei che non accettava che un’altra donna, più giovane, potesse rubarle il podio, essendo più bella e attraente di lei. E tale sindrome deve farci riflettere su due elementi: la tendenza competitiva insita nel genere femminile ed incrementata, in Occidente, dalle immagini mass-mediatiche che esaltano corpi giovani, sempre in forma, filtrati dai social, perennemente nudi ed esposti e, dall’altro lato, l’incapacità, specie per il genere femminile - genere che ha finito con l’introiettare la propria identificazione con la mera carne -, di accettare che giunga il giorno in cui occorre lasciare il centro della scena. In un mondo di vanità ed egocentrismo che esalta un’estetica priva di contenuti, che amputa anima e coscienza, che bombarda con immagini che esaltano una perfezione del tutto artificiale e che non accetta assolutamente l’essenza umana mortale, vulnerabile e fallibile, il genere femminile è, ancora una volta, il bersaglio privilegiato dal potere e le donne sono coloro che canalizzano, nel proprio disagio mascherato per emancipazione ed “eterna bellezza”, il malessere diffuso di una società che ha smarrito le vere priorità e che è preda di un egoismo incurabile.

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