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Arezzo da amare

Arezzo da amare

A cura di Marco Botti

Il Sacro Cuore di Poti

Nuovo appuntamento con la rubrica Arezzo da Amare di Marco Botti

Pochi luoghi sanno toccare le corde degli aretini e ne risvegliano i bei ricordi come riesce a fare l’Alpe di Poti, il complesso montuoso che sovrasta la città a est e fa da spartiacque tra i bacini idrografici di Tevere e Arno. 

Un monumento in marmo celebrerebbe questo divisorio naturale, ma oggi della stele che presentava la scritta “Intra Tevere et Arno” e le teste bronzee della lupa a simboleggiare Roma e del leone a rappresentare Firenze, le principali città legate ai due fiumi, non è rimasto quasi nulla a causa dell’incuria e del vandalismo. 

Il Sacro Cuore di Poti

La strada più semplice per arrivare alla cima di Poti, a 974 metri di altezza, è la via panoramica aperta negli anni Cinquanta, che inizia poco dopo la deviazione sul tratto della Sr73 Senese Aretina in direzione della Valcerfone. Il percorso si raggiunge anche dai quartieri cittadini orientali, salendo verso il valico dello Scopetone. Altre strade utilizzate per andare sul monte sono quella che parte da San Polo, aperta negli anni Quaranta, che nel tratto finale è stata dedicata nel 2019 al campione di ciclismo Marco Pantani, e quelle ormai somiglianti a tratturi, che passano per Pomaio e Peneto ricalcando antichi tragitti.

Il progetto di riforestazione della montagna partì negli anni Trenta del secolo scorso, ma è nel secondo dopoguerra che le operazioni di rimboschimento e la valorizzazione ambientale ebbero uno aumento decisivo, facendo diventare Poti una delle località di vacanza predilette dagli aretini, che frequentavano l’altura per gite giornaliere o per soggiorni prolungati. Fu in quel periodo che si sviluppò il complesso turistico aperto nel 1954 su idea di Umberto Perrotta, dirigente della Società Industria Agricoltura di Roma, che diventò il centro di villeggiatura per eccellenza di Arezzo.

Il villaggio vacanziero, composto principalmente dal grande albergo pensione “Alpe di Poti” e varie villette prefabbricate, divenne una zona di relax e fuga dalla calura estiva, in un’epoca in cui erano ancora pochi quelli che si potevano permettere i lunghi viaggi. 

Da molti anni il sogno di Perrotta si è trasformato in un luogo fantasma, completamente abbandonato, che attende un piano di riqualificazione o almeno di bonifica. 

Poco sopra l’ex albergo sorge il Villaggio Sacro Cuore, inaugurato nel 1968 su progetto di Mario Mercantini per le colonie estive dei bambini, riprendendo la tradizione delle attività ludiche, fisiche ed elioterapiche già attive a Poti dagli anni Trenta. 

Il complesso ricettivo è ancora oggi in funzione, gestito dalla congregazione delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore, un istituto religioso femminile fondato nel 1915 dal vescovo di Città di Castello Carlo Liviero per nobili scopi: assistere malati e anziani ed educare e sostenere i figli degli uomini richiamati alle armi per la Prima Guerra Mondiale e quelli che per colpa del conflitto erano diventati orfani.

La cofondatrice Geltrude Billi, proveniente dalle Suore Oblate di San Francesco di Sales, fu fondamentale per la guida e la preparazione delle giovani aderenti alla congregazione. Dal 1934 al 1946 divenne la madre superiore, a cui succedette Cristina Menchi dal 1946 al 1961 e poi dal 1967 al 1970. Fu quest’ultima a volere il villaggio sull’Alpe di Poti.

Dalla loro nascita le Piccole Ancelle, che hanno sede a Roma, gestiscono scuole, centri per minori e donne in difficoltà, colonie montane e marine, case per ferie e di riposo. La loro attività si svolge prevalentemente in Italia, ma le suore sono presenti anche in alcune parti dell’Europa come Svizzera e Albania e in paesi con gravi problemi come Ecuador, Kenya e Uganda.

Da oltre mezzo secolo la struttura di Poti viene utilizzata come casa d’accoglienza per gruppi o singoli, religiosi o laici, che vogliono trascorrere giornate e periodi di riposo, preghiera e riflessione. Il villaggio è a disposizione anche delle parrocchie, che possono organizzare giornate di ritiro per bambini e ragazzi durante la preparazione ai sacramenti o momenti di spiritualità guidata.

Il luogo dispone di camere singole e doppie, sale da pranzo e per incontri, spazi esterni per attività fisiche e ludiche, piccole cappelle e la chiesa di Mercantini connotata esternamente dall’utilizzo di cemento armato e pietra.  

L’interno, in cemento armato e mattoni faccia a vista, è impreziosito dalla bella vetrata in controfacciata del’aretino Ascanio Pasquini in collaborazione con il figlio Giuseppe, raffigurante il “Sacro Cuore di Gesù tra Madre Geltrude Billi e Madre Cristina Menchi”, e da alcuni notevoli lavori lasciati dall’artista pratese Quinto Martini, uno dei più importanti autori toscani del Novecento. 

Sopra l’altare maggiore campeggia il suo stupendo “Crocifisso con la Madonna e San Giovanni dolenti” in cemento fuso, mentre nei lati si sviluppa la pregevole “Via Crucis” con le lastre in stucco delle quattordici stazioni, che per raffinatezza ed equilibrio delle figure e delle composizioni rimane una delle imprese più felici del maestro ad Arezzo.

Il legame degli aretini con l'Alpe di Poti è ancora forte. Oggi è di nuovo meta di scampagnate, passeggiate, escursioni e itinerari in bici o moto. Dopo anni di declino e abbandono, l’altura sta vivendo una lenta ma progressiva riscoperta e il Villaggio Sacro Cuore, a brevissima distanza dalla cima e in posizione panoramica straordinaria sulla città, rimane una delle tappe più belle da raggiungere. 

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