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Storia e dinastie degli ebrei aretini. Il viaggio di Marco Caneschi tra testimonianze e ricerche

La ricostruzione di una pagina della storia locale effettuata dal giornalista attraverso lo studio di documenti e testimonianze

Per raccontare la storia degli ebrei ad Arezzo il balzo da compiere porta nell'epoca post congresso di Vienna. Dal 1820 al 1864 in città si stabilirono famiglie provenienti da Monte San Savino e Lippiano (località, quest'ultima, oggi nel comune di Santa Maria Tiberina). Due piccoli centri dell'hinterland aretino che in passato potevano contare sulla presenza di comunità ebraiche stabili, con storie familiari secolari alle spalle. Una parte di costoro, tra il 1820 e il 1830, iniziò a migrare in città e attorno alla metà degli anni 50 dell'800, le presenze arrivarono a 150-200. 

La storia dei movimenti di questi cittadini di fede non cattolica nel tessuto cittadino è stata ripercorsa e raccontata da Marco Caneschi, giornalista e appassionato studioso, attraverso una meticolosa ricerca - "Storie e 'dinastie' degli ebrei aretini" - che parte dall'analisi dei registri di nascita, matrimonio e morte recuperati all'interno dell'archivio di Stato aretino. "Nel periodo del Granducato di Toscana - racconta Caneschi - esistevano dei registri separati per i non cattolici. Fatta eccezione per due casi specifici, i nomi e cognomi scritti su questi elenchi appartenevano a cittadini di confessione ebraica".

Quella che, semplificando, potremmo definire la comunità ebraica aretina, durante gli anni della sua permanenza aveva trovato collocazione principalmente nei pressi di Piazza Grande dove erano stati allacciati rapporti con le istituzioni locali - Fraternita dei Laici in primis - e stipulati contratti per l'affitto di fondi utilizzati come laboratori artigiani o botteghe. In via di Seteria invece, all'ultimo piano di uno dei palazzi presenti, era stato allestito un luogo dedicato alla preghiera mentre, dove attualmente sorge la ferrovia, si trovava il Campaccio, luogo di sepoltura smantellato in epoca fascista quando alcuni discendenti dei defunti chiesero e ottennero di trasmigrare le salme presso altri cimiteri.

Una realtà vivace nella quale si inserirono decine di famiglie che qui vissero, si sposarono, lavorarono e trovarono una propria stabilità. Tutto questo fino agli anni dell'unità d'Italia quando, l'acquisizione di nuove libertà, li portò a migrare verso centri urbani più grandi come Firenze e Livorno.

Gli anni del fascismo e della Resistenza invece, videro in città una presenza sporadica, ma non per questo meno significativa, di ebrei. Molti coloro che trovarono rifugio in località remote del Casentino e della Valtiberina riuscendo a sfuggire alla furia nazifascista. "Ma la Resistenza aretina - sottolinea Caneschi - ha un nome e un cognome: Eugenio Calò. Il biciclettaio ebreo di via Madonna del Prato, brutalmente ucciso nell'eccidio di San Polo a due giorni dalla liberazione della città. Inoltre, il compianto amico e studioso Enzo Gradassi ha raccontato in più di uno dei suoi libri le storie di altri ebrei che nella provincia di Arezzo vissero in quegli anni regalando così alla nostra terra uno spaccato molto preciso di quel periodo storico. Ricerche generose quelle di Enzo che, inevitabilmente dopo la sua scomparsa, manca molto a tutti".

Moti del Viva Maria

(Fonte: Wikipedia) - La dispersione delle comunità ebraiche, quella savinese in primo luogo, la si deve anche ai moti del 1799 denominati Viva Maria. Nati come insorgenze antinapoleoniche, tali movimenti e organizzazioni si macchiarono anche di significativi episodi di antiebraismo. A Monte San Savino, appunto, gli ebrei furono maltrattati e più volte perquisiti dagli abitanti. La Deputazione locale s'impegnò per difenderli, ma incontrò la disapprovazione generale. Per sottrarli a ritorsioni ben più violente, il governo cittadino decise di esiliarli. L'episodio più grave avvenne però a Siena. Nel corso dell'ingresso degli insorgenti in città per scacciare i francesi, la folla senese entrò nel ghetto e lo saccheggiò. Tredici ebrei furono uccisi brutalmente. Tre dei tredici cadaveri furono poi bruciati nel Campo, insieme all'albero della libertà. Solo l'intervento degli ufficiali aretini, che cacciarono coloro che erano penetrati nel Ghetto e misero sentinelle davanti a tutti gli accessi, riuscì a far terminare le violenze antiebraiche. Anche Pitigliano fu sede di sussulti antiebraici ad opera del movimento antinapoleonico, con una vittima nel 1799. Viene ricordato dalle cronache che "la popolazione – sembra capeggiata da alcuni religiosi cattolici – fa giustizia sommaria di una banda di soldati del “Viva Maria”, che aveva l'intendimento di attuare una scorreria nel ghetto", impedendo così ritorsioni e soprusi. Il 4 luglio i francesi lasciarono Firenze, assediata dalle truppe aretine. Gli aretini entrarono in città sfilando in parata il 7 luglio, dopo aver atteso il permesso delle autorità cittadine. Fra il 16 e il 17 luglio, con l'ingresso dell'esercito a Livorno e a Portoferraio, si completò l'opera di liberazione del Granducato. Il 5 settembre le legittime autoritàdecretarono lo scioglimento dell’Armata Austro-Russo-Aretina e il 15 settembre anche della Suprema Deputazione. I decreti furono rispettati disciplinatamente. Il 10 febbraio 1800 il Granduca nominò Arezzo nuova provincia, come riconoscimento alla fedeltà e al coraggio dimostrati.

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