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Dal gap linguistico a quello tecnologico, ecco perché il Covid fa male alla scuola. Il racconto di Francesca

Francesca Terenzi, operatrice di Oxfam per i progetti “Bella Presenza” e  “Mentori per la resilienza", racconta l'attività svolta negli ultimi mesi

I problemi sono i più disparati. Non c'è solo il gap economico ma anche le differenze culturali nonché le paure insite in ciascun essere umano. Trovare delle spiegazioni uniche per raccontare il fenomeno della dispersione scolastica non è affare semplice. Dare una spiegazione universale sul perché alcuni giovanissimi, e ad Arezzo secondo l'ultimo censimento sono il 21 per cento della popolazione scolastica, scelga di abbandonare il proprio percorso di studi non è possibile. Realizzabile invece è un'analisi sui fattori comuni quelli che, in un modo o in un altro incidono su questo fenomeno.

L'emergenza sanitaria Covid sicuramente è stato uno degli elementi che hanno contribuito, e non poco, ad aggravare un fenomeno che purtroppo nell'Aretino registrava un vantaggio più ampio rispetto ad altre realtà toscane. In questo contesto si è sviluppata ulteriormente l'attività di Oxfam Italia che nell'ultimo anno ha lavorato per "riportare" in classe gli studenti stranieri e non della provincia.

"Nella prima fase di emergenza - racconta Francesca Terenzi, operatrice di Oxfam per i progetti “Bella Presenza” e  “Mentori per la resilienza" - abbiamo dovuto fare i conti con problematiche riguardanti l'assenza di dispositivi dai quali seguire le lezioni. Davvero in molto hanno rappresentato queste difficoltà. La scuola, le istituzioni e, ovviamente, noi stessi abbiamo fatto del nostro meglio per fornire pc, tablet o cellulari da cui seguire le lezioni. Successivamente, col secondo lockdown, abbiamo assistito ad un altro fenomeno: quello della paura. Sono molte le famiglie che hanno deciso di non far frequentare le lezioni in presenza ai figli perché preoccupate per eventuali possibilità di contagi. In questo senso, personalmente, ho dovuto affrontare proprio questo contesto con degli studenti cinesi i cui genitori non volevano più farli rientrare in classe. C'è stato bisogno di un lavoro certosino con la mediatrice culturale e linguistica per recuperare queste realtà e risolvere la situazione".

In copertina l'intervista integrale a Francesca Terenzi.

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