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Venerdì, 19 Aprile 2024

VIDEO | Camminata piena di emozioni nei luoghi del manicomio di Arezzo. Chiarini: "La ferrovia separava i vivi dai morti"

Poi arrivò la rivoluzione, non si costruì un nuovo manicomio ma si aprirono le porte delle stanze finora chiuse a chiave e si rimisero in piedi i pazienti legati ai letti. I racconti nella camminata di oggi

Le voci dei pazienti, delle infermiere, il silenzio commosso e poi i racconti di chi dentro il manicomio di Arezzo ha lavorato per oltre 35 anni come giovanissima infermiera e poi come assistente sociale. E alla fine arrivano anche gli applausi liberatori per le emozioni vissute ascoltando episodi che si sono snodati dentro le stanze chiuse a chiave e senza finestre dei "tetti rossi".

E' il giorno in cui si celebrano i 50 anni dal momento in cui quelle porte si aprirono alla città e coloro che fino a quel momento erano considerati morti viventi senza voce e senza dignità riacquistarono la propria libertà grazie alla rivoluzione messa in piedi dallo psichiatra Agostino Pirella e da Franco Basaglia. Al convegno nella sala dei Grandi della provincia ha fatto seguito la camminata nei luoghi del manicomio all'interno dello storico parco del Pionta i cui angoli, palazzi adesso universitari e alcuni ruderi raccontano quella storia fatta di sofferenze, privazioni, ingiustizie e violenze che rendevano "morti viventi" coloro che ci finivano dentro anche per un solo momento di crisi personale. 

"La ferrovia faceva da spartiacque tra i vivi e i morti, qui c'era una vera e propria cittadella autonoma dove i pazienti erano privati delle libertà, le infermiere non potevano nemmeno portalri fuori, avevano solo un'ora d'aria una volta alla settimana" spiega proprio Tina Chiarini, presidente del Centro Basaglia, al gruppo di presenti che ascoltano con gli occhi attenti di chi sa di trovarsi di fronte ad una storia che ha segnato Arezzo nel male e poi nel bene quando la rivoluzione dell'apertura di quelle porte e della definitiva chiusura del manicomio si è concretizzata. 

Il manicomio del Pionta dopo 50 anni dalla sua apertura: la camminata

"Ho lavorato oltre 35 anni qui e i ricordi sono molto forti e vivi" racconta ancora Tina che passando di fronte alla Palazzina Donne, a quella Uomini, a dove si trovava l'infermieria, ai luoghi di contenimento delle incontinenti spiega come anche in questa situazione ci fosse una questione di genere molto evidente: "Furono prima le sezioni degli uomni a essere liberate per ridare la libertà alle persone e in precedenze erano sempre molte di più le donne ricoverate rispetto agli uomini, anche per un malessere."

Il percorso si snoda come quello degli stessi ricoverati "rotolando fino a che non si arrivava alla camera mortuaria dopo decenni di vita non vissuta nei reparti. Quando qualcuno per un qualche motivo veniva portato qui veniva messo in osservazione per trenta giorni, con tutta una serie di privazioni e poi se si era calmato bene, altrimenti, come succedeva quasi sempre, le condizioni di quei giorni provocavano una voglia di tornare a casa e uno stato di agitazione che invece portava al ricovero definitivo" ha spiegato la presidente del Centro Basaglia. Storie molto dolorose che non escludono nemmeno i minori. E poi alcune immagini di donne piegate su se stesse in posizione fetale, nude, avvolte di sole alghe che fungevano da letto e da luogo per defecare allo stesso tempo.

Ad accompagnare il tutto le voci narranti anche di ex pazienti del manicomio aretino rielaborate da una quinta del Liceo Artistico su progetto della professoressa Elisa Bianchi e la canzone di Matteo Croce dedicata proprio al manicomio di Arezzo che ha suonato oggi all'interno del Pionta di fronte a quello che adesso è il consultorio.

I laboratori dei mestieri nell'ospedale psichiatrico

Tra i racconti spunta anche quello relativo ai laboratori di alcuni mestieri presenti nella cittadella del manicomio. Alcuni maestri d'arte guidavano i pazienti psichiatrici nel lavorare il legno o il ferro, nella cura degli orti e del bestiame. E' così che arriva il ricordo dell'ingegnere Giovanni Cardinali che entrò da giovane laureato nell'amministrazione provinciale e tra i primi compiti ci fu proprio quello dell'abbattimento dei muri del manicomio e che ricorda "quello che si vede quasi nascosto tra i ruderi è un porta bici in ferro, architettura del '900 molto più efficace degli attuali parcheggi per le due ruote." Addirittura gli stessi arredamenti di alcune scuole e nel palazzo dell'amministrazione provinciale provengono dai lavori realizzati dai falegnami del'ex ospedale psichiatrico.

Conoscere la storia per affrontare il nostro futuro

"Liberando gli altri si libera noi stessi" ribadisce Tina Chiarini che dopo la rivoluzione dell'apertura del manicomio di Arezzo ha vissuto la presa di coscienza della città che fece i conti con questa storia "poi però è venuta questa stagione di nuove povertà, penso ai migranti, ai femminicidi, alle aggressioni per motivi di diversità. Sono stati persi di vista i valori veri. C'è mancanza di una buona politica e di buone istituzioni. Queste esperienze invece servono soprattutto per i giovani che sapranno così seminare idee di inclusione, di libertà e di rispetto delle diversità perché tutti hanno diritto ad ambire a una vita migliore. Toccare quella sofferenza ha cambiato la mia vita e adesso, vedendo i giovani che sono qui, penso che ci sia la speranza per un futuro migliore e perché nessuno dimentichi e nessuno ci provi mai più."

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