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Gennaioli, un cuore amaranto sulla strada dell'Arezzo: "Quante domeniche con la sciarpa al collo"

L'attuale allenatore del Badesse, che finirà nello stesso girone degli amaranto, ha un passato da tifoso di curva. Dopo aver guidato Viciomaggio, Sansovino, Tegoleto e Subbiano, è salito in serie D

Quando giocava dicevano che era bravo ma ingestibile, un cavallo matto. Faceva il portiere, ruolo in cui un pizzico di follia ci sta a pennello, solo che lui esagerava. Poi nel 2010, a 36 anni, ha preso il patentino da allenatore e ha imboccato un'altra strada. Saranno stati gli errori commessi o forse il nuovo ruolo o forse la maturità che prima o poi arriva per tutti, fatto sta che Alfredo Gennaioli è un altro. Più posato, più razionale. Certo il passato non si cancella, comprese quelle volte in cui saltava la convocazione per una partita perché doveva seguire l'Arezzo in trasferta insieme agli amici della sud. Adesso il “Dedo”, ex cavallo matto e curvaiolo doc, è stato chiamato ad allenare in serie D dal Lornano Badesse. E finirà, salvo sorprese, proprio nel girone con gli amaranto. Un incrocio inimmaginabile soltanto pochi anni fa.

Da dove cominciamo?

Da un'ammissione: avessi in rosa uno come me da ragazzo, non lo farei mai giocare.

Per te il prossimo sarà un anno importante. Prima volta in serie D, fuori dalla provincia di Arezzo. Cosa ti aspetti?

E' un'esperienza che sognavo da tempo. Mi avevano cercato Monte Spaccato e Recanatese, ma non se n'è fatto nulla. Poi mi ha chiamato il direttore Simone Guerri, aretino come me, ed è scattato qualcosa. Sono qua e sono felice.

Come fai a conciliare il calcio con il lavoro?

Ho preso un anno di aspettativa. Lavoravo in una cooperativa d'appoggio a Sei Toscana, ma la mia ambizione è fare l'allenatore. Voglio provarci fino in fondo.

Che ambiente hai trovato a Badesse?

Società sana, organizzata, una mosca bianca nel calcio di oggi. Abbiamo un medico sociale bravissimo, due fisioterapisti, due magazzinieri, un campo molto bello che abbiamo un po' rovinato in preparazione. E insieme a me c'è uno staff splendido con due aretini.

Nomi.

Federico Chierici, preparatore atletico, e Sandro Grigiotti, collaboratore tecnico. Poi c'è il preparatore dei portieri Mattia Lanzano e il mio vice Lorenzo Garoni. Voglio citare anche il team manager Iuri Mazzolani, punto di riferimento per tutti noi.  Abbiamo una rosa giovane ma competitiva. Possiamo sognare, lo dico convintamente.

Sognare che vuol dire?

Non pretendo di arrivare davanti all'Arezzo, ma di stare attaccato al treno play-off sì. Giocheremo sempre per vincere.

Della tua amicizia con Maurizio Sarri non si parlerà un po' troppo? Potrebbe essere un boomerang,

Io vengo dal niente, ho fatto la gavetta e devo ancora lavorare, lavorare, lavorare. Non mi spaventano le chiacchiere. Con Sarri ho un rapporto di stima professionale e di amicizia che si è consolidato negli ultimi tre anni, perchè dovrei negarlo?

Lo senti anche adesso?

Ci sentiamo ogni due o tre giorni. Negli ultimi mesi sono stato spesso da lui, abbiamo visto decine di partite.

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Gli hai chiesto anche qualche consiglio?

Io non ho procuratori e ho una faccia sola, quindi mi fido delle persone a cui sono legato. Lui mi ha detto sempre di restare me stesso. E di studiare, perché nel calcio non si finisce mai di imparare.

Come la farai giocare la tua squadra?

Il mercato l'abbiamo impostato per utilizzare il rombo. 4-3-1-2 è il modulo che prediligo, anche se negli anni scorsi ho giocato anche diversamente. L'unica costante è la difesa a quattro.

4-3-1-2 come l'Arezzo. Un sistema di gioco fascinoso ma mica semplice.

Ci vogliono mezzeali di gamba che sappiano ripiegare e inserirsi, due punte ben amalgamate e un trequartista che faccia la differenza. Anche se sono i concetti a contare: la palla va buttata avanti solo se costretti, la squadra deve restare corta e bisogna pressare alti. Si può fare, i ragazzi mi seguono.

Dell'Arezzo cosa pensi?

Mister Mariotti non lo conosco di persona ma in categoria è molto quotato. Sull'organico c'è poco da dire: due giocatori per ogni ruolo, tanta qualità, tanta esperienza. L'Arezzo in serie D è la squadra da battere e il mio augurio è che vinca questo campionato.

In sincerità: speri che l'Arezzo finisce nel vostro girone oppure no?

Lo spero con tutto il cuore. Quante domeniche ho passato con la sciarpa al collo, in casa e in trasferta. Sai cosa vorrebbe dire per me tornare in quello stadio per giocare una partita ufficiale? Solo a pensarci, mi passa davanti il film della mia vita.

Prima scena?

Ero un bambino, entro per la prima volta in curva sud. Il povero Maidecchi mi vede e mi dice: vieni qua, mettiti a suonare il tamburo. C'era Arezzo-Lazio, tifosi laziali ovunque. Indimenticabile.

I tuoi ricordi da tifoso più belli quali sono?

1998, la finale contro lo Spezia con Serse in panchina. Eravamo migliaia. La vittoria di Carrara ai play-out, nel 2001. Un pullman solo ma bello carico. E la promozione con Somma, nel 2004. Quell'anno lì persi un dito e mezzo della mano per l'Arezzo.

A Pistoia.

Quel botto ce l'ho stampato in testa. Accendo il petardo e all'improvviso, bum. Era difettoso. Ringrazio il cielo che non si è fatto male nessun altro, non me lo sarei mai perdonato.

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