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17 aprile 1993 | L'Arezzo viene radiato

Il 17 aprile è una di quelle date che restano nella storia. Quel giorno l'Arezzo fu il primo club radiato a campionato in corso

Era un sabato grigio quel 17 aprile del 1993. La prima squadra dell'Unione Sportiva Arezzo stava per lasciare il Minerva, sede del ritiro, per raggiungere Vicenza. Il giorno dopo infatti gli amaranto avrebbero sfidato i biancorossi cercando di risollevare una classifica che li vedeva all'ultimo posto con più di un piede in C2. Dal tribunale, all'epoca nella parte alta della città, arrivò però la notizia che scrisse una pagina di storia del calcio italiano.

L'US Arezzo venne radiato alla vigilia della 28esima giornata di campionato. Un eccesso di zelo e fiscalità da parte della Federazione e del tribunale secondo (non solo) i dirigenti amaranto. Per chiudere la stagione sarebbero serviti circa 500 milioni di lire, con il cavalier Butali pronto a mettere sul piatto la cifra necessaria, come raccontò pochi anni fa in un'intervista Mauro Bianchini, ex presidente del Cavallino. Ma l'esercizio provvisorio non venne concesso e nemmeno la possibilità, oggi prassi comune per le società sportive, di spalmare in tempi a dir poco agevoli i debiti.

"C’era un mutuo con la Federcalcio, contratto dalla precedente gestione, di 750 milioni l’anno. Senza il mutuo eravamo sotto di 3 miliardi, anzi meno - spiegò Bianchini - Troppa fretta. Avevamo alcuni crediti da riscuotere, il cavalier Butali aveva garantito il denaro per arrivare almeno a fine campionato. Ma non ci fu verso. Se penso che oggi ci sono società, grandi società alle quali è consentito di spalmare i debiti con il fisco per 25 o 30 anni, mi viene quasi da ridere. O da piangere".

Bianchini, che aveva rilevato la società tre anni prima di quel 17 aprile, si spese per evitare la messa in mora. Le spese superavano di gran lunga le entrate e nel 1992 c'era il bisogno di trovare risorse per le casse sociali praticamente vuote. Venne intavolata una trattativa con un gruppo romano, rappresentato da un certo Cruciani, di professione dentista. Enzo Nucifora prese il ruolo di direttore sportivo, lasciato libero da Giuliano Sili. La rosa era formata da giovani ma soprattutto da giocatori che 'costavano un occhio della testa' come ricordò Bianchini, guidati da Menchino Neri. Ma la panchina passò velocemente da Neri a Cerantola che salutò dopo poco tempo, quindi di nuovo Neri, poi Pasinato e infine Mario 'Pinella' Rossi. I (pochi) che entrarono nelle casse erano quelli della campagna trasferimenti, i contributi di Dall'Avo, dei fratelli Del Tongo e di Piero Mancini.

"Mancini provò a far quadrare i conti - disse Bianchini - ma dopo un solo mese si rese conto che era impossibile".

Ma ciò che emerge dalla storia del fallimento e della radiazione dell'Arezzo sono principalmente due aspetti. Il primo che il calcio non è da oggi solo fonte di debiti e particolarmente costoso, un mondo dove è difficile fare tornare i numeri. Il secondo invece la grande fretta delle istituzioni: Federazione e tribunale. Vari club se la passavano male a causa di conti a dir poco ballerini. Serviva dare un segnale e così la vicenda Arezzo divenne un capro espiatorio. Un monito da lanciare a chi pensava di sgarrare. Fu il primo caso in Italia (fatta eccezione per il Sant'Elena) di un club professionista radiato a campionato in corso con annullamento di tutti i risultati e svincolo dei giocatori. E dire che sarebbe bastato poco visto che il Cavallino doveva ancora incassare dal Vicenza la metà del catellino di Briaschi. Quella volta però prevalse l'intransigenza totale.

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