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Due giorni al campionato, l'Arezzo deve ricostruire dalle macerie. Una storia che si ripete

Gli amaranto in serie D dopo l'ultima, dolorosa retrocessione. Sfiducia, scetticismo, disaffezione sono i sentimenti più diffusi, come già accaduto in passato nel 1993 e nel 2010. Eppure c'è un margine di speranza

L'Arezzo ha ricostruito dalle macerie tante volte in passato. Stavolta però sembra un compito molto più arduo. Insieme a società e squadra, pochi mesi fa sono retrocessi anche l'entusiasmo, l'unità d'intenti, la voglia di partecipare.

Nel 1993, dopo la radiazione dell'Unione Sportiva, la serie D venne affrontata con sofferenza ma anche con ferrea volontà di ricostruire. Sotto la cenere della delusione covava il fuoco del riscatto perché quella decisione della Figc venne vissuta, non senza ragioni, come una vessazione. Ci vollero tre anni per rivedere la luce, ci volle la sbadataggine del Sansepolcro che si fece decurtare 14 punti per aver fatto giocare un calciatore squalificato, ci volle l'empatia di Cosmi e il carisma di Graziani, comunque finito nel tritacarne delle critiche e delle malelingue. Il salto in C2 fu salutato come una liberazione e non è un caso che quella promozione resti una delle più genuine, profonde, appaganti di sempre.

Nel 2010, dopo la messa in liquidazione dell'Ac Arezzo, la serie D fu un secchio d'acqua gelata in faccia. Poche settimane prima la squadra aveva giocato (e perso) i play-off per la B, poi d'improvviso si ritrovò sui campetti dei dilettanti. Piero Mancini, il presidente del decennio precedente, catalizzò molti dei rancori della piazza, alimentando paradossalmente una voglia di rivalsa fortissima. Nacque in quel contesto Orgoglio Amaranto, il comitato di azionariato popolare che a dispetto degli errori, delle difficoltà, dello scetticismo di un ambiente ancorato ai vecchi postulati di un calcio dove “i tifosi devono fare i tifosi”, è sopravvissuto fino a oggi come una delle novità più positive in assoluto. Senza OA, senza le pressioni della piazza, nel 2014 probabilmente il presidente Ferretti non avrebbe presentato (al secondo tentativo) soldi e scartoffie per la domanda di ripescaggio. E la storia recente avrebbe preso tutta un'altra piega.

In questo 2021 la serie D è una condanna e stop. Troppo deprimente l'ultima retrocessione, troppo flebile la speranza di sfatare il tabù di un campionato ostico, sfibrante, da sempre avaro di soddisfazioni. Non ci sono, almeno in apparenza, trampolini tecnici e psicologici da sfruttare. C'è solo una rabbia profonda che non evapora e la tentazione di non fidarsi più di niente e nessuno, tantomeno di quelli che comandavano un anno fa e comandano pure oggi.

Eppure l'esperienza insegna che proprio questo sarebbe l'errore più grande da commettere. Ci sono i periodi neri ma il calcio non è mai uguale a se stesso e basta poco per trasformare i sassi in baci e abbracci. E' accaduto anche ad Arezzo. La diffidenza che ha dovuto vincere Cosmi, l'indifferenza che ha saputo superare Somma, ma anche la forza d'animo di Capuano sono esempi eclatanti del fatto che il trend, al bivio decisivo, può pure essere invertito.

Tra l'ultima partita di Cesena in C e la prima con il Trestina in D, tra 48 ore, c'è un abisso in tutti i sensi. Ma la storia va soltanto avanti, mai indietro, e ricostruire dalle macerie si può, anche ad Arezzo. Tutto sta a recuperare in fretta la disponibilità a crederci: magari con ColomboAliperta e Foggia viene fuori un'annata che ci rimette in pace con il mondo.

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