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L'Arezzo è già al bivio della stagione. Tra alibi, debolezze e una squadra (forte) che non decolla

Ieri l'eliminazione in Coppa Italia per mano del Foligno. Domenica prossima l'esordio in campionato contro il Trestina. Mariotti deve trovare la chiave giusta e deve farlo in fretta

No alibi. Le sconfitte non sono mai casuali e per questo è giusto analizzare in profondità cosa è successo e perché è successo. Non c'entra il caldo, non c'entra che loro hanno menato meglio e di più, non c'entra nemmeno l'arbitro che, come al solito, viene tirato in ballo solo quando si perde. Poi magari arriva una vittoria stiracchiata con il rigoricchio a favore e guai a parlare di fortuna perché “la squadra ci ha creduto” e “gli episodi alla fine si compensano”. Bisognerebbe sottrarsi a questo giochino, sempre di moda dalla serie A alla terza categoria, ma non lo fa nessuno, nemmeno qui da noi. Amen.

Debolezza. Restando al contorno. Dal 1961 a un anno fa, la panchina dell'Arezzo è sempre stata quella di sinistra rispetto all'ingresso. Lì ci hanno appoggiato il sedere Ballacci, Angelillo, Cosmi, Conte, Sarri, Semplici e compagnia bella. Qualcuno di loro era anche scaramantico il giusto, ma a nessuno è venuto in mente di spostarsi sulla panchina dall'altra parte. Qualche mese addietro invece, il trasloco è avvenuto per davvero. Se doveva servire a ingraziarsi il fato, il risultato è drammatico. E perseverare è soltanto una debolezza.

"Meritiamo di più". Dopo una retrocessione come quella dell'anno scorso, e un precampionato così in chiaroscuro, è dura non cedere alla tentazione di mandare tutto e tutti al diavolo. Ma è proprio adesso che serve equilibrio: la squadra ha delle pecche ma ha anche dei valori. E se è vero che le sconfitte hanno sempre una motivazione, quella di ieri è stata anche dettata dalla casualità degli episodi. In rosa ci sono cinque giocatori che hanno già vinto la D (Lomasto, Aliperta 2 volte, Foggia, Panatti, Strambelli), gente esperta e che conosce la categoria. Qualche under è discreto, qualcuno un po' meno ma con gli under di serie D la coperta è sempre troppo corta. Non solo per l'Arezzo. Manca organizzazione, la squadra è troppo e troppo spesso disordinata in campo, una responsabilità che è dell'allenatore ovviamente. E non è un problemino da poco. Però sostenere che questa è una banda di raccattati è un'esagerazione senza senso. Alla fine, come è successo spesso in passato, la sud ha dimostrato una maturità che le fa onore. "Meritiamo di più", in questo momento, è la sintesi più efficace e realistica di tutte.

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Il rombo. “Il modulo non conta” è una semplificazione sbagliata. E' vero che il 4-3-1-2, durante la partita, può diventare 3-5-2 o 4-3-3 o 4-2-3-1, ma compiti e posizioni di partenza hanno un senso e definiscono l'atteggiamento della squadra. Lo schieramento con il rombo è fascinoso e al contempo complicato, specie in serie D. I tre giocatori offensivi, specie se sono over 30 come quelli di ieri, faticano a coprire campo all'indietro. E conservare un equilibrio di squadra, quando la palla ce l'hanno gli altri, cosat fatica, sudore oltre a una serie di uno contro uno cui sono condannati i terzini under. Molte sofferenze nascono da qui.

Bomber. Foggia viene da una stagione in cui ha segnato 20 gol, aggiungendovi 12 assist e il primo posto in campionato. Li ha segnati a Messina, una piazza che pretende, mette pressione e non perdona i piedi a banana. Un po' come Arezzo. E' alto un metro e 90, non ha un fisico che entra in condizione velocemente e non è nemmeno un centravanti che sta dentro l'area ad aspettare la palla sui piedi o sulla testa. E' manovriero, sa giocare di sponda, allargare la manovra. Adesso che ha benzina nelle gambe, va messo in condizione di incidere e fare male. E' una priorità assoluta.

Il mister. Al di là dello 0-1 con il Foligno, il campo non mente mai. L'Arezzo non ha convinto finora, se non a sprazzi qua e là. Mariotti (come chiunque fosse stato scelto) sapeva che accettando di sedere su questa panchina, si sarebbe infilato in un imbuto: o vinceva da subito o vinceva da subito. Il Trestina di Essoussi, alla luce di questo, è già la partita del redde rationem.

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