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Il Grosso, l'antica moneta di Arezzo che Campaldino cancellò. Il post di Scanzi: "La porto con me. E' un orgoglio"

Si chiamava "Grosso agontano de Aritio", valuta autonoma di cui la città si dotò fino al 1289. La sconfitta contro le truppe guelfe fiorentine ne decretò la fine. La storia e gli aneddoti nel racconto social del giornalista

Nel basso Medioevo, quando la città di Arezzo era libero Comune, per un breve periodo, batté moneta. Si chiamava "Grosso" ed era in argento, coniata all'interno delle mura cittadine. Riportava l'immagine di San Donato e i soldati aretini entrarono in battaglia a Campaldino l'11 giungo 1289 con una di esse al collo. Di quella valuta, oggi, è rimasta uan significativa traccia: il "Grosso" è il premio con cui, ogni anno, vengono insigniti i Maestri del Lavoro di Arezzo. La consegna avviene nel corso di una cerimonia che si tiene all'interno del palazzo della Fraternita dei Laici in occasione della Festa della Repubblica.

I Maestri del lavoro di Arezzo premiati con il Grosso Aretino

La storia del Grosso e alcuni curiosi aneddoti sul celebre scontro avvenuto nei pressi di Poppi, li racconta il giornalista aretino Andrea Scanzi, in un recente post pubblicato su facebook.

Alla Formaggeria de' Redi, nel centro di Arezzo, ho scoperto un anello particolare: ritrae il "grosso agontano de Aritio", ovvero la moneta autonoma di cui Arezzo, assai fiorente all'epoca, si dotò dal 1267 al 1289. Un anno chiave, quest'ultimo. La moneta recava al dritto la croce patente e al retro San Donato, così come l'anello. Probabilmente fu pensata dal vescovo Guglielmo degli Ubertini.

Dante, Cecco, Gugliemo e Bonconte

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Scanzi poi si sofferma sulla battaglia, raccontando del vescovo Guglielmo degli Ubertini, di Dante Alighieri, Cecco Angiolieri e Bonconte da Montefeltro.

11 giugno 1289 | La battaglia di Campaldino

La moneta cessò di esistere nel 1289 perché quello fu l'anno della battaglia di Campaldino, che di fatto consegnò la Toscana al dominio ai Guelfi e quindi a Firenze. Arezzo, ghibellina, fu sconfitta l'11 giugno 1289 nella piana di Campaldino, presso Poppi e il piccolo convento di Certomondo. Casentino. Le battaglia fu decisa da due aspetti. Anzitutto i guelfi attaccarono non dal Valdarno ma da Casentino, sfruttando le dritte degli aretini esuli a Firenze e passati ai Guelfi. Ciò colse di sorpresa gli aretini, guidati proprio dal settantenne Guglielmo degli Ubertini, armato "solo" di mazza per non contravvenire al precetto medievale secondo cui gli uomini di chiesa non dovevano spargere sangue sui campi di battaglia. L'altro aspetto chiave fu l'insubordinazione di Corso Donati, che comandava le riserve dei Guelfi. Non doveva attaccare, ma contravvenne agli ordini e attaccò: i Ghibellini furono colti di sorpresa, Donati e i suoi (soprattutto pistoiesi) spezzarono le file ghibelline dividendo fanti da cavalieri e la battaglia fu decisa. Il corrispettivo ghibellino di Donati, Guido Novello di Modigliana dei Conti Guidi, decisivo nella battaglia di Montaperti del 1260, agì in maniera opposta: ebbe paura, ritenne persa la battaglia e si nascose nel castello di Poppi. Un violento temporale interruppe la mattanza. A morire furono 1700 ghibellini, tra cui lo stesso Guglielmo degli Ubertini e Bonconte da Montefeltro, e 300 guelfi. Alla battaglia, come Guelfi, parteciparono anche Dante Alighieri (che parla di Campaldino nella Divina Commedia) e Cecco Angiolieri. Gli aretini sopravvissuti furono portati a Firenze come prigionieri. Chi non fu riscattato morì in carcere e poi sepolto in fosse comuni nei pressi dell'attuale Via de' Ripoli 51, all’angolo con via Benedetto Accolti, nella parte sud di Firenze. Oggi quel fazzoletto di terra si chiama "Canto degli Aretini" e, anche se pare impossibile, è di proprietà di Arezzo: Firenze gliel'ha donato, secoli dopo Campaldino, in segno di "pace".

Un angolo di Arezzo a Firenze: il Canto degli aretini

La piana di Campaldino oggi

Scanzi poi racconta di aver fatto una visita in moto, nella giornata di ieri, proprio nei luoghi della battaglia, elencando le sue mete:

Campaldino, con il monumento dedicato a Dante e la piana teatro della battaglia, oggi divenuta una rotonda. E poi il Convento di Certomondo, dove sono stati sepolti in fosse comuni le vittime della battaglia, compreso (pare certo) Guglielmo degli Ubertini. E' sempre un viaggio molto toccante, almeno per me. Per puro caso, ho avuto anche la fortuna di incontrare in zona il sindaco di Ortignano Raggiolo, che mi ha dato ulteriori dritte. Questi viaggi mi scuotono sempre non poco. Tornando, poi, mi sono concesso una delle strade che amo di più: Soci, Partina, Badia Prataglia e Passo dei Mandrioli sopra i 1100 metri (strada non facile, soprattutto per chi ha una Harley). Ho quindi mangiato a Corezzo, dove c'è la mitica “osteria de la Franca”, con dei tortelli alla lastra pazzeschi. Sono luoghi incantati, come pure la strada che da lì poi scende a Bibbiena lambendo Chiusi della Verna e passando per Rimbocchi.

La moneta in un anello

Ho scritto tutto questo - conclude il post di Scanzi - perché, da martedì scorso, sono orgoglioso di indossare quell'anello recante il grosso di Arezzo. E' una delle mie tante maniere di portare con me la mia città: a teatro, in tivù, nei libri. In auto, in moto, a piedi. Sempre. Mi fa stare bene e, se qualcuno mi chiede cosa rappresenti quello "strano" anello, rispondo con grande orgoglio. Arezzo è una città spigolosa e atipica, per certi versi complicata, bravissima a farsi male da sola e incline come nessuna a sottovalutarsi. Ha i suoi difetti, alcuni dei quali noti. Ma è anche - e soprattutto! - una città di bellezza totale, che sa proteggerti e sorprenderti, con vette di genio inaudite e picchi di meraviglia senza eguali. Le voglio bene. Mi fa stare bene. E sono felice di viverci e portarla sempre con me.

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