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Gallorini: "Così 220 anni fa, Arezzo insorse contro l’occupante francese al grido di “Viva Maria!”"

Riceviamo e pubblichiamo un testo a cura di Santino Gallorini

Il 6 maggio 1799, dopo appena un mese di occupazione francese, i popolani aretini insorgevano al grido di “Viva Maria!”, riuscendo a cacciare i soldati nemici, non solo da Arezzo e dal territorio limitrofo, ma anche da buona parte del Centro Italia, da Roma alle Romagne.
Il “Viva Maria” è l’unico evento per il quale in età moderna Arezzo è ricordata nei libri di storia di mezza Europa. E curiosamente, la vicenda è poco conosciuta proprio dove essa avvenne, sepolta da una coltre di polvere volutamente depositata per quel vezzo tutto italiano di stare sempre dalla parte dello straniero. 
Lo straniero, in quel caso l’armata francese, che a fine marzo 1799 aveva invaso il neutrale Granducato di Toscana, non era venuto da noi a portare i princìpi della Rivoluzione – Libertà, Uguaglianza e Fraternità – bensì per allargare i territori sottoposti alla Grande Nation al fine di trarne risorse economiche e finanziarie per sostentare le sue armate inviate in mezza Europa.
I nostri antenati di quell’occupazione videro solo tasse, sequestri, leva obbligatoria, violenze, offese alla religione cattolica. E alla fine, il 6 maggio, dopo uno dei tanti tumulti che avevano già scosso molte città e molti paesi toscani, anche ad Arezzo ci fu una sollevazione popolare che portò alla cacciata dei soldati francesi e alla formazione di un organismo di governo, chiamato Suprema Deputazione.
La Suprema Deputazione stava trattando diplomaticamente con il Governo francese di Firenze, al fine di far tornare Arezzo all’obbedienza senza rappresaglie e punizioni, quando l’arrivo da Perugia della Legione Polacca del generale Jan Henrik Dabrowski sconvolse i piani.
Esigenza primaria divenne la difesa della Città e quindi per evitare un assedio a cui sarebbe stato difficile far fronte, furono mandati popolani e contadini armati lungo la strada Regia, da Vitiano ad Olmo. Il 14 maggio ci furono aspri scontri tra il Ghetto di Vitiano e il Rio Grosso di Rigutino, passati alla storia come la “Battaglia di Rigutino”. In questi scontri morì il colonnello Jozef Chamand, il vice di Dabrowski. Dopo una rappresaglia alla “nazista” che coinvolse Policiano, Pieve a Quarto e Sant’Anastasio, i polacchi deviarono verso San Zeno, San Giuliano e si diressero verso Firenze, senza attaccare Arezzo e gli aretini interpretarono questo fatto come una dimostrazione della loro forza militare e come un aiuto celeste da parte della Madonna del Conforto.
Da quel momento iniziarono le varie spedizioni militari nei centri e nelle città della Toscana, dell’Umbria, delle Marche, del Lazio e della Romagna, che portarono alla cacciata dei soldati francesi, a loro volta pressati nel Nord Italia da un’armata austro-russa.
Una delle studiose più esperte di moti antifrancesi del XVIII secolo, Anna Maria Rao, ha scritto di recente in un’ottima pubblicazione curata dall’Accademia Petrarca: “Cominciava così un’esperienza destinata a durare alcuni mesi, di grande interesse sul terreno istituzionale e militare. Diventata capitale dell’insorgenza, Arezzo fonda la sua azione su basi autonomistiche rispetto al governo granducale. I suoi ceti dirigenti, attraverso opportune scelte economiche e militari, riescono a mettere in atto una vera e propria rete di controllo del territorio, che non sarà facile per lo stesso Granduca smantellare e riportare all’obbedienza. Il Viva Maria […] più che esprimere una religiosità conculcata dallo straniero e, prima ancora, da giansenisti e riformatori, diventò un segno di appartenenza e di riconoscimento, un vero e proprio vessillo militare, mentre la presenza delle insegne imperiali e dello stesso comandante austriaco Schneider, arrivato ad Arezzo il 16 giugno, conferivano al movimento toni lontani – almeno in apparenza – dal legittimismo dinastico che altrove connotò le rivolte antifrancesi”.
Tutto ebbe fine nell’ottobre 1800, con il ritorno dei francesi in Italia, al comando di Napoleone. Arezzo fu assediata, espugnata e severamente punita con una quarantina di civili morti e un duro saccheggio.
Ma quella luce di antica fierezza, che aveva brillato in quei mesi, la illuminò agli occhi dell’Europa e ancor oggi se andate in una qualsiasi biblioteca europea e cercate negli schedari “Arezzo”, la troverete associata al suo Viva Maria. In tutta Europa, salvo ad Arezzo ...
Dedico queste righe a don Antonio Bacci, da poco scomparso, che al Viva Maria di Arezzo ha dedicato parecchi anni dei suoi illuminanti studi. 

Santino Gallorini

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