La pieve di Santa Mustiola a Quarto
A Pieve a Quarto è legato un simpatico aneddoto su Lorentino d’Andrea, principale collaboratore aretino di Piero della Francesca
La pieve di Santa Mustiola a Quarto si trova alle porte di Arezzo, nella parte settentrionale della Val di Chiana, in splendida posizione panoramica. Il nome rimanda alla quarta pietra miliare (ad quartum lapidem) dalla città, posta lungo la via consolare romana Cassia Vetus. Qualche chilometro più avanti la località di Ottavo trae origine dallo stesso motivo.
L’edificio sacro è intitolato alla patrona di Chiusi, martirizzata secondo la tradizione nel III secolo d.C. Fu eretto intorno al V secolo d.C. come chiesa battesimale sui resti di una fabbricato romano, forse una villa. Secondo questa ipotesi, portata avanti anche da Alberto Fatucchi nella sua monografia dedicata alla pieve del 1989, sarebbe quindi da annoverare tra le più antiche chiese del territorio aretino.
Nell’VIII secolo fu ricostruita ma di quel periodo rimangono pochissime tracce. Il primo documento che cita il pleberio di Santa Mustiola è invece una donazione del 955. Tra XI e XIV secolo la pieve è spesso nominata in relazione alla vicina abbazia benedettina delle sante Flora e Lucilla di Torrita di Olmo, che progressivamente ne assunse il controllo mantenendolo a lungo. Al XII secolo risale il rifacimento a tre navate in stile romanico. Nella mensa dell’altare a destra dell’abside si può vedere, incisa, la data 1151. La chiesa terminava con tre absidi semicircolari, di cui è rimasta solo quella centrale, bellissima, con due monofore laterali e un occhio in cui la pietra locale si alterna al travertino.
Nei secoli successivi la pieve subì diversi e pesanti rimaneggiamenti che ne alterarono l’aspetto e ne diminuirono le dimensioni in lunghezza. Nel 1866 fu terminata la realizzazione del campanile a torre e nella prima metà del Novecento ci fu una ristrutturazione in stile, con l’intonacatura della facciata e l’apertura di quattro finestre, poi trasformate in bifore di travertino. Negli anni Ottanta si effettuarono dei saggi archeologici intorno all’edificio di culto e partì un nuovo restauro per riportare alla luce le antiche pietre e fornire una migliore lettura.
Questi ultimi interventi oggi permettono, ad esempio, di distinguere meglio le parti del XII secolo ancora presenti rispetto alle modifiche successive o di scorgere la grande finestra centrale del 1747 tamponata. Durante i lavori fu ritrovato, incassato nella facciata, anche un pilastro in travertino con scanalatura sui due lati, adesso nel giardino della canonica, da ricollegare a un pluteo della chiesa altomedievale. All’interno la pieve è totalmente manomessa rispetto alla sua versione romanica, con il pavimento rialzato, il soffitto ribassato e le pareti intonacate e decorate con un gusto neoclassico di matrice ottocentesca.
La maggior parte delle opere presenti risale al secondo Novecento, come ad esempio la vetrata con “Santa Mustiola” nell’occhio absidale del 1962 e quelle del 1967 nelle finestre della facciata, tutte realizzate da Fiorenzo Ioni. La “Santa Gemma Galgani” del 1965, a sinistra dell’altare maggiore, è di Mario Fontanelli, il “Crocifisso” ligneo policromo che campeggia al centro dell’abside fu realizzato invece nel 1970 da Corrado Runggaldier. Da ricordare ancora il dipinto del 1984 a destra dell’entrata, con il “Cieco di Gerico” di Remo Gardeschi, e il bassorilievo in argento del 1985 incastonato nel cippo dell’altare maggiore, con la “Resurrezione” di Massimo Baragli. Il tabernacolo dell’Eucarestia del 1998, in pietra serena e legno, è firmato da Enzo Scatragli.
Al nuovo millennio appartengono due opere di Dario Polvani. Sono “L’apparizione della Madonna di Mezzastrada a una pastorella” del 2009 sulla parete destra e il “Battesimo di Cristo” del 2002 a sinistra dell’entrata, che avvolge il fonte battesimale.
Più antiche sono due tele di difficile attribuzione: “La Crocifissione di Cristo e il Martirio di Santa Mustiola” datata 1744, nella controfacciata, e la “Madonna in gloria col Bambino tra Sant’Antonio da Padova e San Giovanni Battista” della seconda metà del XVIII secolo, nella parete sinistra. Ottocentesca è infine la statua in terracotta policroma con la “Madonna Immacolata” a destra dell’altare.
A Pieve a Quarto è legato un simpatico aneddoto su Lorentino d’Andrea, principale collaboratore aretino di Piero della Francesca. Racconta Giorgio Vasari nelle sue “Vite” del 1568 che si avvicinava il Carnevale e, come era di consuetudine, chi se lo poteva permettere ammazzava il maiale. Lorentino e famiglia, che abitavano in affitto nella zona di San Domenico, non se la passavano bene economicamente e quindi non avevano il denaro per comprare il suino. Alla richiesta supplicante dei sei figli il pittore rispose che qualche santo li avrebbe aiutati.
Capitò che un contadino di Pieve a Quarto, per soddisfare un voto, era in cerca di un artista che gli dipingesse San Martino. Interpellò il pittore avvertendolo però che non aveva un soldo in tasca e l’unico modo di pagarlo consisteva in un porco del valore di cinque lire. Lorentino accettò l’incarico e tornando a casa col maiale poté raccontare ai figli che un santo era davvero intervenuto.
Di fronte alla facciata tre rocchi di colonne romane di travertino, appartenenti forse all’edificio su cui fu eretta la prima pieve, coronano un manufatto che accoglie le lapidi dedicate nel 1964 a papa Giovanni XXIII, nel 2002 a Padre Pio e nel 2019 a Duilio Sgrevi. Quest’ultimo fu per sessantatre anni l’amatissimo pievano di Pieve a Quarto.