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L’area archeologico-naturalistica di Castelsecco

Per alcuni studiosi del passato qui si ergeva la prima Arezzo, un abitato fondato da antiche popolazioni italiche

Se dovessimo fare una classifica dei luoghi più affascinanti e importanti di Arezzo, l’area archeologico-naturalistica di Castelsecco, nella parte sommitale della collina di San Cornelio, lotterebbe senza dubbio per i primi posti. Il sito, a sud-est della città, si presenta come un grande terrazzo ovoidale frequentato fin dall’epoca arcaica.

Per alcuni studiosi del passato qui si ergeva la prima Arezzo, un abitato fondato da antiche popolazioni italiche come gli umbri e i piceni. Altri ipotizzarono un avamposto fortificato, realizzato dagli etruschi durante la loro espansione del VII secolo a.C. verso nord. Una diversa congettura considerava la zona come l’accampamento delle legioni romane che stanziarono nell’aretino già dal III secolo a.C. C’è poi chi andò oltre, immaginando le mura di Castelsecco come quelle superstiti di un’improbabile cinta che inglobava sia la città, sia il colle. Quest’ultima ipotesi fu portata avanti da Vincenzo Funghini e approfondita in una sua pubblicazione del 1896.

L'area archeologica di Castelsecco

Una lettura più chiara si ebbe a partire dal 1969, quando iniziarono gli scavi con metodo scientifico da parte della Soprintendenza Archeologica dell’Etruria, sotto la direzione di Guglielmo Maetzke, che regalarono tante sorprese negli anni Settanta e primi anni Ottanta.

Ormai identificato all’unanimità come un santuario extra urbano, uno dei tanti che cingevano l’Arezzo etrusca, nel II secolo a.C. Castelsecco fu al centro di imponenti lavori che dettero un nuovo assetto alla sommità della collina, orientandola verso la Val di Chiana e munendola di possenti mura perimetrali. Fu così costruito un nuovo complesso santuariale di tipo ellenistico a servizio della città, connotato da elementi significativi come il tempio principale e il teatro tra loro collegati, caratteristica che trova riscontri con altri luoghi sacri italici coevi, anche molto distanti come quello sannita di Pietrabbondante in Molise.

Il santuario di Castelsecco aveva però peculiarità tutte sue e anche se venne realizzato in un momento in cui l’influenza del mondo romano si faceva sentire anche in architettura, continuava a presentare elementi tipici della tradizione etrusca. Erano sicuramente presenti i culti di Tinia, il Giove degli etruschi, come testimonia l’iscrizione “Tins Lut” su lastra di travertino, e di Uni, la romana Giunone Lucina, collegata alla maternità, come ci indicano gli ex voto in terracotta raffiguranti neonati in fasce, ammirabili nel Museo Archeologico “Gaio Cilnio Mecenate” di Arezzo.

A questa seconda divinità è dedicata oggi anche una scultura contemporanea che la raffigura mentre allatta Ercole adulto, realizzata nel 2012 dallo scultore aretino Ilinep, che scolpì un blocco di pietra direttamente sul posto. L’opera prende spunto dall’incisione in uno specchio ritrovato a Volterra, risalente al 320 a.C.

A sud-est del colle si ammira lo spettacolare muraglione di macigni sbozzati. Il perimetro del lato ovest, al contrario, è visibile solo in alcuni tratti perché è franato o ricoperto dalla vegetazione. La cinta, che presenta un tratto ad andamento curvilineo, è interrotta da quattordici poderosi contrafforti. Per Maetzke, oltre alla funzione di sostegno al terreno, la muraglia aveva uno scopo monumentale. Negli anni Settanta e Ottanta fu consolidata e oggi è l’elemento più caratteristico di Castelsecco.

È invece purtroppo ricoperto dal terreno, per motivi di salvaguardia, il teatro orientato a sud e adatto a rappresentazioni sacre, come dimostra il piccolo altare del II sec. a.C. conservato anch’esso nel Museo Archeologico di Arezzo. La cavea, ovvero la zona per gli spettatori, era formata dalla parte inferiore, la ima, di cui restano quattro gradinate, dalla parte media e da quella superiore, cioè la summa. Di queste ultime due, forse di materiale ligneo, non è rimasto nulla. L'orchestra, quindi la zona centrale del teatro per i cori e per l’altare, era semicircolare e pavimentata con lastre di pietra. A essa si accedeva attraverso due corsie o parodoi, che collegavano l’orchestra con l’esterno. Oggi ne resta conservata solo una.

Da due piccoli ambienti laterali, i paraskenia, si saliva sul palcoscenico, il logeion (o pulpitum per i romani), che era rialzato. Quest'ultimo si presentava rivestito con lastre decorate in terracotta, tipiche della tradizione etrusca, oggi conservate in frammenti sempre al museo archeologico aretino. Dietro al palcoscenico si trovava la skene, con una fronte di cui restano le fondazioni di macigni irregolari e otto speroni, forse basi per le colonne coreografiche affacciate sulla valle del Bagnoro.

A circa cento metri dal teatro e appartenente a un notevole edificio templare, si trova un grande podio rettangolare ottenuto livellando la sommità del colle e ritagliando lateralmente una grossa sporgenza di roccia. Il podio si eleva circa sei metri sul piano del santuario. È ricoperto dal terreno per proteggerlo dai vandali. Un rialzo parallelo a est, più piccolo, fa ipotizzare la presenza di un secondo edificio di culto, forse quello dedicato a Uni.

Durante l’alto medioevo, persa ormai da secoli la sua funzione, Castelsecco fu usato come fortilizio in una zona strategica nella lotta tra bizantini e longobardi. Sempre in epoca medievale qui furono eretti due edifici cristiani, la chiesa di San Pietro in Castro Sicco e la chiesa dei santi Cornelio e Cipriano. La prima presenta resti dell’abside del IX/X sec. a nord-est del teatro. Della seconda non c’è traccia, quindi è probabile che sorgesse dove oggi è ubicata la chiesetta dei primi del Settecento.

Nell’Ottocento l’area divenne prettamente agricola e la chiesa fu adibita a cappella della famiglia Giusti, quella del noto poeta risorgimentale pistoiese Giuseppe Giusti (1809-1850). La sorella Ildegarde infatti sposò il capitano Francesco Nencini e si trasferì ad Arezzo. Il luogo fu frequentato dai discendenti fino al 1967, per essere poi abbandonato in seguito a una profanazione delle tombe. Ridotta a rudere e sconsacrata, la chiesa venne recuperata nel decennio scorso grazie all’associazione Castelsecco, per farne la propria sede e adoperarla per incontri, eventi e mostre o come punto di ritrovo per le iniziative che si svolgono nell’area del teatro durante la bella stagione.

Sempre grazie all’associazione, nata nel 2002 con l’obiettivo di valorizzare il sito, sono stati ripristinati i sentieri che dalla città raggiungono la collina, permettendo agli aretini di riappropriarsi di uno scrigno di inestimabile valore, in attesa che arrivino finalmente i fondi necessari a riprendere le campagne di scavo. Inutile dire che se riportassimo alla luce l’intero complesso santuariale, trasformeremmo il colle di San Cornelio in un parco archeologico unico nel suo  genere, non solo in Italia.

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