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L'alpe di Poti, 'il paradiso di Arezzo'

Meta turistica negli anni '60, l'alpe di Poti è stato il polmone di Arezzo negli anni del boom

Alpe di Poti, 974 metri sul livello del mare, 'il paradiso di Arezzo'. Ecco la descrizione di una cartolina, una delle tante migliaia che aretini e villeggianti inviarono dagli anni '60 in poi ad amici a parenti. L'alpe di Poti è uno dei monti più conosciuti e apprezzati dai ciclisti (amatori e non solo) che si inerpicano sulla sommità più o meno tutti i giorni della settimana. Poti sorge a ridosso della città di Arezzo ed è il complesso montuoso che ingloba il monte Favalto e il monte Dogana.

Ma oltre ad essere stata una meta turistica, Poti è anche una catena montuosa protagonista durante la resistenza. Una lotta che terminò il 16 luglio 1944 con la liberazione di Arezzo da parte delle forze alleate e di un commando di 16 partigiani della XIII Brigata Garibaldina Pio Borri. Con i suoi 974 metri ha rappresentato un punto importante per la vita agricola, la raccolta delle castagne e del legname e dei funghi.

Nel dopoguerra l'alpe di Poti diventò un luogo di villeggiatura. Aretini e non solo erano soliti frequentare in estate, nei fine settimana e durante le vacanze, la sommità del monte. L'aria salubre, le temperature più miti, era un rifugio da una città che si stava convertendo all'industria. Non tutte le città potevano vantare un'area relax in quegli anni. Di quel contesto turistico oggi sopravvive soltanto il villaggio Sacro Cuore e le villette che erano state costruite in passato, mentre l'albergo, oggi ridotto a rudere, ne ricorda appunto l'espansione di quel periodo, così come le tante foto che vengono via via pubblicate sui social, testimonianze di chi lavorava nella struttura o nelle vicinanze. Oggi Poti è la meta di ciclisti, di chi ama fare escursioni, trekking lungo i sentieri, in un contesto immerso nel verde ma a due passi dela città. Tra l'altro ancora oggi l'alpe si presta alla raccolta di funghi, castagne e legna.

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