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Lettera della maestra Serenella Bellucci alla vicesindaca Lucia Tanti: "Si rimettano al centro i bambini"

Una delle storiche educatrici dei servizi all'infanzia del Comune di Arezzo ha scritto all'amministrazione una riflessione personale sul progetto 0-6 anni

Serenella Bellucci, un nome che evoca emozioni e ricordi per molte famiglie aretine. E' stata una delle maestre storiche dei servizi all'infanzia del Comune di Arezzo, fin dalla loro fondazione negli anni '70. Nei giorni scorsi, anche per dare il proprio contributo durante la discussione sulla riorganizzazione del progetto ecucativo 0-6 anni, ha scritto una lettera alla vicesindaca Lucia Tanti che ha la delega alle politiche scolastiche.

In pensione dal 2014, Serenella nella lettera racconta il suo percorso fin da quando nel 1976 all'età di 19 anni iniziò a lavorare come maestra.

"Ho iniziato la mia carriera lavorativa nel lontano 1976 a 19 anni dopo il primo concorso per insegnante di nido del Comune di Arezzo del 1975, per i primi 13 anni sono rimasta al nido, poi nel 1989 sono passata alla scuola dell’infanzia di Villa Sitorni." Serenella sceglie poi alcune parole chiave per descrivere la sua vita lavorativa che "si racchiude dentro le parole emozione, fatica, relazione, gratificazione, crescita professionale".

Poi il racconto di come è finita, gli anni prima della pensione: "Gli ultimi 10 anni sono stati i più faticosi di tutti perché non ritrovavo più quello spirito positivo, di ricerca, di diversità, che hanno fatto grandi i nostri servizi all ‘infanzia e che sono stati portatori di cultura e di rinnovamento per tutta la città. Un percorso nato agli inizi del 1975, quando il nostro comune ha preso in mano l'esperienza Onmi, l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia e con un progetto di ricerca in campo pedagogico, ha creduto di poter creare servizi più adeguati al nuovo sistema genitoriale e lavorativo delle famiglie."

Serenella Bellucci si rivolge direttamente alla vicesindaca: "Credo che lei conosca bene la storia dei servizi all’infanzia dei quali si occupa ormai da alcuni anni. Fare l’amministratore oggi credo che sia un compito molto difficile e di grande responsabilità, ma anche molto interessante e pieno di sfide che ogni amministratore è portato a risolvere. Come ho scritto, dagli anni 2005 circa, tutto il progetto educativo ha perso piano piano la propria credibilità ed impegno da parte del nostro comune. Le cause sono tante e tutte sotto gli occhi di tutti, ma io credo che proprio questo periodo molto particolare possa far rinascere l’ interesse politico, etico, morale e pedagogico e che la nostra città possa tornare ad essere una città che riscrive la sua importanza dando ancora una volta attenzione ai bambini ed alle bambine durante questo periodo meraviglioso che è l'infanzia."

A queste parole segue un'analisi dell'educatrice che adesso vede i servizi da fuori, ma che vive ancora con profonda passione attaccamento, perché in fondo una maestra resta tale anche quando è in pensione, come un diamante, lo è per sempre.

"I progetti devono essere fatti dalla nostra amministrazione ed eseguiti da tecnici e professionistiI. Io posso solo presentare un mio pensiero e mettermi a disposizione se potesse servire" spiega la storica educatrice.

"Fino agli anni 2000 i servizi all’ infanzia comunali sono stati all’ avanguardia dentro un percorso educativo importante nella ricerca e nella realizzazione dei bisogni dei bambini e delle loro famiglie. Le amministrazioni che si sono succedute hanno continuato a crederci ed allargato il numero dei nidi ed anche di alcune sezioni di scuola dell infanzia. Oltre alla collaborazione di cooperative come Progetto 5, dagli anni 2000 ha partecipato anche Koinee e alcune associazioni come I Care. I soggetti che hanno collaborato alla gestione sociale dei servizi infantili e sociali, hanno portato fino al 2007 ad avere molteplici interpreti e questo ha aperto il campo dell’educazione a nuove sperimentazioni. Purtroppo la situazione politica italiana ed europea si è distratta negli ultimi 15 anni e questo è successo anche da noi, tutto il dibattito si è fermato e in molti casi non è ripartito. Sono ormai più di 10 anni che i bisogni dei bambini e delle bambine, delle famiglie, del personale tutto non sono stati ascoltati. Ora è arrivato un virus che ha ribaltato il nostro senso civico, che ha fatto vedere che i problemi rimandati non possono rimanere inascoltati, che le persone tornano ad essere persone e che c’è molto bisogno di pubblico, di partecipazione, di territorialità. Una città che saprà di nuovo ascoltare la voce dei bambini tutti, i quali vogliono trovare nelle strutture governate pubblicamente, la loro seconda casa, sarà una città molto viva ed anche molto democratica, una città che potrebbe fare della diversità un volano per nuovi percorsi educativi. Un progetto che tenga in considerazione il "Cento dei bambini" (in riferimento al testo della poesia del pedagogista Loris Malaguzzi che trovate in fondo alla lettera) farebbe diventare una città che varrà cento. Pensare in cento modi significa rispetto, incontro, relazione, dibattito, coraggio, disponibilità, amore per il lavoro che ognuno è chiamato a svolgere con il massimo dell’impegno. Se il nostro comune tornerà ad avere in mano il governo dei servizi all’infanzia, al sociale, investirà nel proprio futuro. Le strade aperte sono molte. La mia voce ha incontrato tanti attori, ottimi attori, dei quali possiamo essere tutti fieri. Un piccolo esempio di grande qualità e professionalità è rimasta in Villa Sitorni, dove enti diversi: stato, comune, cooperativa, associazione e memori sono cardine per il benessere di tutti i bambini in tutte le ore della loro presenza a scuola."

"Ringrazierò sempre con eterna gratitudine i vari assessori, direttori e coordinatori con i quali, indipendentemente dalla loro parte politica, ho avuto spesso scambi di vedute, e sempre con tanta nostalgia i bambini e le loro famiglie per avermi indicato la strada più rispettosa dei loro bisogni."

Bellucci Serenella

Invece il cento c’è di Loris Malaguzzi

Il bambino
è fatto di cento.

Il bambino ha
cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare

cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire

cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.

Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.

La scuola e la cultura
gli separano la testa dal corpo.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.

Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c’è
e di cento
gliene rubano novantanove.

Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l’immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.

Gli dicono insomma
che il cento non c’è.
Il bambino dice:
invece il cento c’è.

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