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"L’epidemia non si ferma con il blocco del Paese". L'affondo del presidente di Confindustria Arezzo: "Non facciamo collassare l'economia"

L'intervento è quello di Fabrizio Bernini, presidente della Zucchetti Centro Sistemi oltreché della delegazione di Arezzo di Confindustria Toscana Sud

"Non possiamo far collassare l’Italia che è già in grave emergenza economica". Le parole sono quelle di Fabrizio Bernini, presidente della Zucchetti Centro Sistemi oltreché della delegazione di Arezzo di Confindustria Toscana Sud, che interviene sull’emergenza Coronavirus, dopo che, sulla scia della Regione Lombardia, le forze del centrodestra hanno chiesto al governo di inasprire ulteriormente le misure di contenimento del contagio fino a prevedere il fermo totale delle fabbriche e dei trasporti su tutto il territorio nazionale.

“In questo momento così difficile è giusto affrontare l’emergenza sanitaria ma non possiamo far collassare l’Italia che è già in grave emergenza economica – dice Bernini – non dimentichiamoci che l’Italia esporta 550 miliardi all’anno, di cui 450 vengono dalla manifattura. La chiusura generale delle aziende distruggerebbe l’intero Paese. Da imprenditore sono abituato a non muovermi e a non prendere decisioni sull’onda dell’emotività o dell’eccitazione generalizzata e dico solo: analizziamo i dati prima di prendere decisioni avventate di cui pentirci un domani e alle quali non sarà più possibile, purtroppo, porre rimedio. I dati di aggiornamento relativi alla situazione italiana dl Covid-19 (fonte Dipartimento Protezione Civile, Ministero della Salute, Regioni) alle ore 18 di ieri sera parlano di 8.514 casi positivi, 631 deceduti e 1.004 guariti, per un totale di 10.149 casi. Dei 8.514 casi positivi, 2599 si trovano in isolamento domiciliare, 5038 sono ricoverati con sintomi e 877 si trovano in terapia intensiva. Si tratta di numeri altissimi, ma che poco ci dicono, ad esempio, su chi sono le persone che si ammalano e su chi sono coloro per i quali il virus risulta letale – dice Bernini - E’ di pochi giorni fa un’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità su 105 pazienti italiani deceduti. Dai dati è emerso che la maggior parte dei decessi (42%) aveva un’età compresa tra 80 e 89 anni, il 14% sopra i 90 anni, il 32% circa tra i 70 e i 79 anni, l’8% tra i 60 e i 69 e solo poco meno del 3% tra i 50 e i 59. Dallo studio, inoltre, è emerso che i pazienti deceduti presentavano in media tre o più patologie preesistenti: il 18% dei pazienti presentava 2 malattie, mentre il 67% era caratterizzato da 3 o più patologie (il 15% dei pazienti presentava nessuna o una patologia). Anche nell’ultimo rapporto Epidemia Covid -19, appena prodotto dall’Istituto Superiore della Sanità 2 giorni fa e pubblicato sul proprio sito, si osserva che l’aumento della letalità si verifica nelle classi di età più elevata. Infatti, ci rivela lo studio, su un totale di 8.342 casi diagnosticati, l’età media degli ammalati risulta essere di 65 anni. Inoltre, se guardiamo al numero di decessi (357), si riscontra che 202 si sono verificati nella classe di età sopra gli 80 anni, 114 nella fascia compresa tra 70 e 79, 37 nella fascia 60-69, 3 in quella 50-59 e 1 in quella 40-49. I dati confermerebbero quindi che le persone più a rischio sono anziani e persone con patologie preesistenti ed è su tali categorie che dovremmo intervenire per cercare di prevenire e contenere la diffusione del virus. L’epidemia non si ferma con il blocco del Paese, ma isolando e proteggendo, per quanto possibile, i soggetti che risultano a rischio e che hanno più probabilità di ammalarsi e di propagare a loro volta il virus. Un esempio a cui guardare potrebbe essere il comportamento che sta adottando in proposito la Germania, dove le persone più a rischio vengono protette in isolamento, mentre le fabbriche restano aperte e operative, lavorando a pieno ritmo, anche grazie all’aumento di commesse derivanti dal rallentamento e dalla paralisi progressiva che si sta verificando in altri Paesi. Il rischio derivante dal blocco totale della produzione e dei trasporti – conclude Bernini - sarebbe quello di penalizzare l’Italia nel mercato globale: per l’assenza di aziende italiane attive, i clienti potrebbero rivolgersi a competitor aventi sede in altri stati, come appunto la Germania, che uniscono allo sforzo nella tutela della salute dei propri cittadini, anche la tutela dell’occupazione e del futuro dell’economia nazionale. Auspico, quindi, che tale misura non venga adottata e che con i prossimi provvedimenti governativi si tenga conto della linea suggerita dalla stessa Confindustria Nazionale, alla quale mi allineo integralmente”.

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