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Voci dai "tetti rossi", a 40 anni dalla chiusura dei manicomi un archivio speciale con i racconti dei malati. L'appello: "Adesso si cercano i familiari"

Quaranta anni da quando le porte dei padiglioni di viale Cittadini hanno iniziato a chiudersi. Da quando i degenti dei "tetti rossi", così veniva chiamato l'ospedale psichiatrico cittadino dagli aretini, sono usciti dalle loro stanze e hanno...

Quaranta anni da quando le porte dei padiglioni di viale Cittadini hanno iniziato a chiudersi. Da quando i degenti dei "tetti rossi", così veniva chiamato l'ospedale psichiatrico cittadino dagli aretini, sono usciti dalle loro stanze e hanno intrapreso percorsi diversi. Quaranta anni da quando è entrata in vigore la Legge Basaglia.

Oggi è l'anniversario di quello che è stato un cambiamento epocale nella sanità italiana. E Arezzo ne fu un baluardo, grazie al lavoro intenso e coraggioso di Agostino Pirella, il medico che prima aprì i "tetti rossi" alla città poi traghettò la struttura verso la definitiva chiusura. La storia aretina passa anche da lì e la memoria di quello che fu l'ospedale psichiatrico cittadino, dei degenti che da inizio Novecento a 40 anni fa ne affollarono le camerate, è custodita in un archivio "speciale". Si trova all'interno del campus del Pionta, nella palazzina dell'orologio e conserva centinaia e centinaia di documenti relativi a quei pazienti: oltre 1500 unità documentali tra cartelle cliniche, registri filze, fotografie, testi scritti dagli stessi ospiti della struttura. Un patrimonio catalogato e archiviato con competenza e grande amore da due studiose dell'Università di Siena, Stefania Gherardi e Patrizia Montani a partire dalla fine degli anni Novanta quando in quelle palazzine si trasferì la sede aretina dell'ateneo.

Ma quello che rende unico questo archivio sono le "voci" delle persone che vi hanno trascorso parte della loro vita. Si tratta delle interviste realizzate negli anni Settanta da una storica Anna Maria Bruzzone la quale incontrò i degenti, parlò con loro e chiese loro di raccontare se stessi e la loro vita all'interno dell'ospedale psichiatrico. "Spesso si pensa ad un archivio come ad un luogo di carta - spiega Silvia Calamai, docente dell'Università di Siena e coordinatore scientifico del progetto - invece noi abbiamo trovato questo archivio sonoro. Nell'estate del 1977 Anna Maria Bruzzone raggiunse questo ospedale con l'obiettivo di dar voce a chi invece non ne aveva. Quindi i malati. Li ha fatti parlare per ore, poi dalle interviste ha tratto un libro che fu pubblicato dai Einaudi, con il titolo "Ci chiamavano matti". Da tempo ci chiedevamo dove fossero andati a finire questi nastri: se fossero andati perduti o se qualcuno li avesse conservati". Dopo alcuni anni di ricerche, gli studiosi dell'ateneo senese sono riusciti a ritrovare questi preziosi nastri: erano a Torino, nella casa di un'erede della storica.

"Abbiamo spiegato alla nipote della storica il nostro progetto di ricerca - racconta Calamai - il nostro progetto di recupero e di restituzione di queste voci, non solo alla comunità degli studiosi ma alla cittadinanza intera. Lei ha capito e accolto il progetto, ha donato i nastri al dipartimento aretino dell'università di Siena affinché siano tutelati, valorizzati e digitalizzati".

La soprintendenza archivistica per la Toscana ha sostenuto le spese per la digitalizzazione e adesso l'archivio è anche in formato digitale.

"Adesso questo materiale andrà catalogato e poi potremo iniziare a studiarlo - spiega Calamai - ma prima sarà necessario definire le questioni legali. Per questo vorremmo cercare tutte le persone che hanno inciso la loro voce, se sono ancora vivi, ma anche i familiari".

Una ricerca, quella dei familiari, dall'intenso impatto emotivo: "molti potrebbero non sapere che le voci dei propri cari sono rimaste impresse in un nastro e potrebbero volerle riascoltare, per veder restituita parte della loro memoria e della loro storia. La nostra ricerca vuole restituire alla società civile questa voce.".

Si innesca così l'appello: "Se qualcuno aveva familiari nell'estate del 1977 erano qui ricoverate - dice Calamai - lo preghiamo di rivolgersi a noi, presso il dipartimento di Scienze della Formazione".

Chi invece volesse contribuire alla manutenzione e alla tutela dell'archivio c'è un progetto di valorizzazione del "Patrimonio documentario e bibliografico dell’Ex Ospedale Neuro Psichiatrico di Arezzo" sul sito dell'Art Bonus. In particolare con i soldi raccolti sarà risistemata la biblioteca storica che

"si compone di circa 2000 volumi scientifici e circa 450 di “Amena lettura” oltre fascicoli di riviste scientifiche, opuscoli e saggi rilegati in Miscellanee. All’interno della biblioteca è stato ritrovato il registro contenente l’inventario della biblioteca scientifica redatto secondo una “ripartizione per materie” fino agli anni Cinquanta, per i periodici è stata rinvenuta una rubrica a parte. Solo recentemente sono stati ritrovati alcuni volumi della Biblioteca amena, alcuni cataloghi, rubriche e registri redatti in epoche diverse."

I "mecenate" potranno avere importanti benefici fiscali.

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