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Cultura Via di Castelsecco

L'Eneide a Castelsecco. Lapo Lani legge Virgilio in "un luogo con cui ho un profondo legame personale"

A guidare il pubblico alla scoperta del secondo libro dell'Eneide di Virgilio, sarà l'architetto e artista Lapo Lani

La caduta di Troia e quel viaggio verso una nuova terra dove ristorarsi e avviare, letteralmente, nuova vita. Notte di miti, di antichi patimenti e di letture quella che si accinge a vivere il parco archeologico di Castelsecco. Giovedì 22 luglio, alle 21.15 in punto, saranno i versi di Virgilio a raccontare di Enea, quel profugo, figlio della dea Venere, che dopo un lungo vagare per il Mediterraneo approdò lungo le sponde del Lazio diventando il progenitore del popolo romano.

A guidare il pubblico alla scoperta del secondo libro dell'Eneide di Virgilio, sarà l'architetto e artista Lapo Lani che, oltre a leggere alcuni dei passi più emozionanti di uno dei poemi epici più noti della letteratura classica, approfondirà alcuni particolari temi che si trovano nel testo.

"Questa serata - spiega Lapo Lani - nasce da una questione personale. Nel 2019 è scomparso mio padre, Franco Lani. In quella circostanza ho realizzato dei ritratti, disegni e degli scritti per ricordarlo e, poco dopo, sono stato contattato da Mario Bruni, presidente dell'associazione di Castelsecco, il quale sapendo della mia passione per l'arte e per i classici della letteratura antica, mi ha proposto di realizzare una serata evento. Mio padre era molto legato a questo luogo e a questa realtà associativa con la quale aveva rapporti sia personali che professionali. Ricordo perfettamente che negli ultimi mesi della sua vita mi parlava molto frequentemente di Castelsecco". 

Una serata inusuale, in cui le suggestioni regalate dal posto abbracciano una dimensione intima, personale dove uno dei racconti più antichi del mondo prende di nuovo vita ricordando come "scendere agli Inferi è facile: la porta di Dite è aperta notte e giorno; ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo – qui sta il difficile, qui la vera fatica" (Eneide VI, 126-129).

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