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La cura dal benessere- Voto 7,5

Gore Verbinski è uno di quelli a cui piace essere poco costante, come quando alle superiori avevi il compagno di classe che era bravo ma non si applicava abbastanza: ogni tanto azzeccava un compito sopra la media per poi tornare al minimo...

Gore Verbinski è uno di quelli a cui piace essere poco costante, come quando alle superiori avevi il compagno di classe che era bravo ma non si applicava abbastanza: ogni tanto azzeccava un compito sopra la media per poi tornare al minimo sindacale.

Verbinski è quel compagno di classe che oggi, ormai grande, ha deciso di prendere una macchina da presa e di farlo diventare il suo lavoro.

Capita allora che dopo un The Mexican - cocktail di generi dal sapore indefinito fatto in un periodo dove tutti giocavano ad essere Tarantino - il regista/sceneggiatore/produttore/e pure musicista americano tiri fuori un compitino niente male dal nome The Ring, horror non superlativo ma che riesce a terrorizzare quanto basta, soprattutto dal momento che si tratta del remake del film di Hideo Nakata del 1998.

Con il successo commerciale arrivano anche le opportunità e così Verbinski da una sceneggiatura di Ted Elliott e Terry Rossio, dirige Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna, riuscitissimo primo capitolo della saga con Johnny “Jack Sparrow” Depp.

Verbinski però è uno che è bravo ma non si applica abbastanza e così dopo The Weather Man - alla fine ingiustamente poco considerato - dirige due mediocri sequel dei Pirati (Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma e Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo), il discreto Rango e il pessimo e dimenticabile The Lone Ranger (2013).

Una premessa lunga, lo ammetto, ma assolutamente necessaria perché il suo ultimo film, La Cura Dal Benessere, è anche il suo migliore, e pure di gran lunga.

Grattacieli geometrici si riflettono l’un l’altro nelle loro facciate di lucido vetro. Sovrastano la città illuminati da una luce plumbea segno inequivocabile di un mortifero e nefasto presagio.

Lassù, dai piani alti del mondo, un cancro inarrestabile contamina e logora chiunque, ne consuma l’anima dall'interno lasciando le carni apparentemente intatte: è il desiderio di una vita agiata e realizzata rincorrendo traguardi che, una volta raggiunti, sono sempre e solo nuovi punti di partenza in una corsa frenetica ed infinita dove l’individualismo è tutto a costo di schiacciare ogni essere vivente.

“C'è un male oscuro dentro di noi, che sale, come la bile, e ci lascia l'amaro in fondo alla gola”.

Inizia con queste lapidarie parole La Cura Dal Benessere, tra il logorio della vita moderna delle grandi città fatta di schermi di computer sempre accesi a controllare l’andamento della Borsa, di uffici freddi e di rapporti umani apparentemente inesistenti.

Proprio in uno di quei grattacieli il broker Lockhart (Dane DeHaan) si arrampica per raggiungere la vetta, consumato com'è dell’ambizione.

Il caso vuole però che pure lui sia uno di quelli bravi ma che non si applicano e così la sua scalata è interrotta da una truffa interna da lui perpetrata, a detta dei suoi superiori, in un modo da veri dilettanti.

Il consiglio lo mette di fronte ad un bivio: la galera o un lungo viaggio fino in Svizzera, in una Clinica/castello al largo di Zurigo, per recuperare il Direttore Amministrativo dell'azienda per cui lavora, assolutamente necessario per compiere una grossa fusione.

Tralasciando il motivo per cui il dott. Heinreich Volmer (Jason Isaacs), direttore della Clinica che offre la Cura, vesta costantemente di soli abiti in lino nonostante il castello si trovi in mezzo alle Alpi svizzere e non a Cuba, l’ultimo film di Verbinski funziona incredibilmente bene.

Dane DeHaan interpreta un protagonista anomalo, spesso fastidioso, e con il quale riusciamo ad entrare in empatia solo dopo che la storia è già a buon punto.

Pur non tirando fuori la sua migliore interpretazione (ad oggi resta quella fatta su Chronicle), DeHaan riesce a manifestare gli stati d’animo che prova quando si convince che all’interno della Clinica accadano cose strane.

C’è qualcosa di inquietante tra le mura di quel castello isolato, tra i pazienti, tra chi ci lavora. Un’inquietudine tangibile che trasforma spesso il film da thriller ad horror, finanche a toccare nella struttura narrativa richiami espliciti al gotico.

Tutto funziona, i generi si mescolano e l’atmosfera ricreata è di quelle giusta. La scenografia di Eve Stewart è essenziale, geometrica, dal gusto retrò. Nessun ammennicolo moderno e tecnologico è presente all’interno della Clinica. Ambizioni e privilegi dati dalla vita 2.0 sono tenuti fuori come fossero materiale contaminate. Il corpo va epurato e mondato da tutte le tossine che lo contagiano.

Il villaggio (in una delle sequenze più riuscite), ai piedi della collina dove sorge il castello, miserrimo e desolante, pare essere rimasto sospeso nel tempo, se non fosse poi che pure il peggior bar del globo terracqueo, frequentato da loschi individui e ragazzini punk che ascoltano musica hard rock, sia provvisto di un POS per carte di credito. Si mormora che tra gli abitanti del paese e la Clinica scorrano cattive acque; si capirà il perchè.

La regia di Verbinski non è mai anonima ed omologata. Ricerca spesso inquadrature che deformino volti, corpi e cose dietro lenti o specchi senza mai sovrastare il racconto ma anzi, caricandolo maggiormente di interesse e fascino.

Una durata forse eccessiva (anche se sarebbe stato difficile raccontare la storia scegliendo un minutaggio più breve) ed un finale favolistico, non riescono comunque a minare un film che risulta essere ad oggi l’opera migliore di Verbinski, quell’alunno spesso svogliato ma che pare avere talento.

Voto: 7.5

La cura dal benessere (A Cure for Wellness - thriller, USA, Germania 2017)

Regia: Gore Verbinski

Sceneggiatura: Justin Haythe

Cast: Dane DeHaan, Jason Isaacs, Mia Goth, Celia Imrie, Ashok Mandanna, Adrian Schiller, Harry Groener

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