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Carolina, Aldo, i Franchetti e i piccoli Renzo e Elena Calò: gli ebrei che vissero, lottarono e morirono ad Arezzo

Di seguito riportiamo l'elenco di coloro che transitarono in terra aretina e morirono nel campo di concentramento di Auschwitz

Sono custoditi anche all'interno del “Libro della Memoria” i nomi degli ebrei che durante il periodo della seconda Guerra mondiale vennero deportati dalla Toscana. 675 per l'esattezza di cui, 64 da Arezzo, 311 da Firenze, 38 da Grosseto, 33 da Livorno, 112 da Lucca, 16 da Pisa, 84 da Pistoia e 17 da Siena. Un elenco che riporta i nomi, l'età e la storia di anime che sono state strappate alla propria terra e alla propria vita per finire all'interno di un campo di concentramento dove hanno perso la vita. I nomi di essi, solo di coloro che sono deceduti durante l'internamento, sono stati raccolti dall'autrice del libro Liliana Picciotto. Di seguito riportiamo l'elenco di coloro che transitarono in terra aretina e morirono nel campo di concentramento di Auschwitz.

Birkenfeld Ignaz 49 anni - Antonio Ehrenwert 36 anni marito e moglie, lui slavo, lei austriaca. Arrestati ad Arezzo e deportati ad Auschwitz.

Deceduti Carolina Lombroso Calò, moglie di Eugenio, 31 anni incinta del quarto figlio insieme ai suoi bambini: Elena Calò (7 anni), Renzo Calò (6 anni), Alberto Calò (1 anno e mezzo). Detenuti a Firenze, deportati ad Auschwitz deceduti all’arrivo.

Heinrich Rsenfelder 50 anni ebreo tedesco arrestato a Bibbiena deportato ad Auschwitz. Deceduto.

Enrico Sonnino 41 anni arrestato a Poppi deportato ad Auschwitz. Deceduto nella provincia di Arezzo, e più esattamente a Civitella dove tra il 1940 e il '44 rimase in attività Villa Oliveto, struttura presso la quale venivano costretti uomini e donne di origini ebree. Nel gennaio del 1944 i 61 ancora presenti nel campo furono deportati da truppe SS prima a Fossoli e poi trasferiti nel lager di Bergen Belsen in cui poterono sopravvivere per circostanze del tutto fortuite, perché trasferiti in Lorena, in Francia, per essere usati come merce di scambio, ossia da scambiare con prigionieri tedeschi oppure nel campo di Biberach.

Arnoldo Funaro avvocato fiorentino già presidente della Sidol rifugiato ad Arezzo membro del CLN di Arezzo per il partito d’Azione.
Dopo la liberazione fondò il primo giornale libero ad Arezzo: “L’Informatore Aretino”.

Herbert Gottschalk 35 anni (21.9.1908 – 4.3.1974). Dentista, medico dell’ospedale da campo allestito dai partigiani aretini a Marzana, nei pressi di Cortona.

Piero Sadun 24 anni pittore senese, scampato ai rastrellamenti degli ebrei senesi si unì ai partigiani ed entrò a far parte della XXIII Brigata “Pio Borri” e collaborò con il dott. Herbert Gottschalk all’ospedale di Marzana. Dopo la liberazione tornò a fare il pittore a Siena.

Non sono mancati nel territorio aretino anche quelli che possono essere definiti come casi di generosità ovvero, episodi in cui gli abitanti del territorio hanno messo a repentaglio la propria incolumità per dare asilo e offrire rifugio a famiglie in fuga.

Ne è esempio la storia di Umberto Franchetti che fu costretto a lasciare l’impiego di professore e rinunciare anche alla professione di pediatria al Meyer per via delle persecuzioni messe in atto in seguito alle leggi razziali. Per questa ragione, da Firenze dove viveva con moglie e i figli, fuggì in calesse verso il Casentino. Qui a Giampereta lui e la famiglia trovarono rifugio in una piccola casa, ospitati e sostenuti da contadini, Francesco ed Emilia Ciuccoli.

Oppure il caso di Cantalena di Cortona dove trovarono rifugio la signora Rosa Lilienthalowa (ebrea polacca), il signor Spizz e sua moglie (ebrei austriaci) e anche la famiglia Labj, (ebrei di nazionalità inglese). E ancora ad Ortignano-Raggiolo dove vennero accolte le famiglie di Giorgio e Perla Cal di Raul e Silvana Funaro e di Piero e Giuliana Lusena. A Cacciano, nel comune di Pergine Valdarno, trovò asilo un’ebrea fiorentina di nome Maria e le sue due figlie, Miriam e Mirella. Ad Anghiari invece si rifugiarono la famiglia Saghi – padre, madre e due figli – ebrei tedeschi di origine polacca. A Sansepolcro arrivò la famiglia Stock di Trieste (quella del brandy).

Ed infine la storia di Aldo Lusena (43 anni), Alda Lusena (29 anni) e Bianca Maria Lusena (2 anni e mezzo) che trovarono rifugio a Biforco in Casentino nel comune di Chiusi della Verna. Qui morirono il 17 dicembre del 1943 dopo mesi di tormenti e paura. Uccisero la piccola figlia nel sonno e poi si suicidarono, convinti dal loro "padrone di casa" di essere braccati dai nazifascisti. In realtà la paranoia dei Lusena venne alimentata da una comunità che cercava di impossessarsi dei loro beni. Ua vicenda tristissima, stranziante, raccontata dalla penna di Enzo Gradassi attraverso le pagine del suo libro "Sesto senso".

Nel 1943, per quasi cento giorni una famiglia ebrea - Aldo e Alda Lusena e la loro piccola Bianca Maria - si nascose a Biforco, un piccolo centro dell'alto Casentino, per sfuggire alla persecuzione razziale. Caduti nelle mani di faccendieri senza scrupoli che volevano impossessarsi delle loro ricchezze, vennero intimoriti al punto di scegliere il suicidio piuttosto che la paventata deportazione. La lettura delle carte processuali ritrovate di recente consente di rievocare una terribile vicenda che nasce con le leggi razziali e diviene via via più aberrante mano a mano che l'innocua e indifesa famiglia diventa vittima dell'altrui cupidigia, che non si ferma nemmeno di fronte alla morte. 

E poi c'è la storia di Ottaviano Pieraccini figlio di Arnaldo direttore del manicomio di Arezzo (Macerata, 15.5.1898 - Mauthausen, 28.3.1945). Dedito agli studi giuridici, non ebbe modo di partecipare alla lotta politica prima dell'avvento del fascismo, ma portò nella professione di avvocato, esercitata a Milano negli anni del regime, uno spirito di intransigenza morale che ne faceva un naturale avversario del fascismo.
Nel 1942 a Milano fu tra i promotori delle riunioni clandestine che dettero poi luogo alla fondazione del Movimento di Unità Proletaria, sotto la guida principalmente di Lelio Basso, Roberto Veratti, Domenico Viotto, Lucio Luzzatto, Corrado Bonfantini. Dopo la morte di Roberto Veratti fu Ottaviano Pieraccini a ereditarne le responsabilità e la presenza politica:

«Ovunque presente: nel Comitato di Liberazione dell'Alta Italia, nell'esecutivo del Partito, nella preparazione difficile e rischiosissima della stampa clandestina. Organizzatore ed animatore dello sciopero del marzo, quello che rimarrà la più eroica manifestazione di forza e di volontà del proletariato italiano nel periodo del terrore nazifascista ».
(dal Corriere d'informazione del 16.2.1946).

Il 1° marzo 1944 Ottaviano fu catturato a Milano, tradotto nel carcere di San Vittore e da qui a Fossoli, a Bolzano e infine in Germania, nel lager di Mauthausen, dove giunse il 4 agosto. Trasferito nel campo di eliminazione di Gusen, Ottaviano, per quanto gracile di salute, venne impiegato in una cava di pietra a trasportare massi ed alla fine di settembre si ammalò di polmonite. Grazie all'assistenza prodigatagli dai compagni di prigionia riuscì a superare la crisi, ma in dicembre fu nuovamente costretto al lavoro in un'officina. Qui le sue condizioni fisiche si aggravarono e nel marzo 1945, quasi agonizzante, fu riportato a Mauthausen dove si spense pochi giorni dopo l'arrivo.

Le immagini e le informazioni storiche sono state gentilmente concesse da Enzo Gradassi

I volti degli ebrei che vissero e morirono ad Arezzo

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