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Martedì, 23 Aprile 2024

Il terziario traina l'economia di Arezzo, ma le imprese diminuiscono. Rigido il rapporto con le banche

L'evento si terrà domani sera al Teatro Petrarca e sarà analizzato a fondo il settore terziario con le sue luci e le sue ombre

È il terziario la componente più forte dell’economia aretina, sia per numero di imprese (circa 17mila, in pratica il 60% del sistema imprenditoriale extraagricolo), sia per numero di occupati (+5mila negli ultimi dieci anni contro il calo di 2 mila unità nell’industria) sia per ricchezza prodotta (il 66% del valore aggiunto della provincia di Arezzo, quasi 6 miliardi di euro).

Lo confermano i primi dati dell’indagine condotta da Format Research per Confcommercio. Una ricerca che martedì 11 febbraio sarà resa pubblica durante gli Stati Generali del Commercio, convocati dall’associazione di categoria per le ore 21 al teatro Petrarca. Una serata-evento, moderata dal direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni e dalla giornalista di Sky Tg24 Monica Peruzzi, alla quale parteciperanno anche il presidente nazionale di Confcommercio Carlo Sangalli, l’assessore alle attività produttive della Regione Toscana Stefano Ciuoffo e la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini. Sul palco insieme a loro il sindaco di Arezzo Alessandro Ghinelli, il presidente onorario della Camera dei Buyer Moda Giuseppe Angiolini ed il sociologo Aldo Bonomi.

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L’iniziativa è aperta a tutti: imprenditori, autorità, rappresentanti del mondo politico e sociale, privati cittadini. La volontà è quella di capire le strategie per sostenere la crescita del terziario, garantendo benessere e occupazione al territorio. Ma, soprattutto, traghettando verso il futuro quell’insieme multiforme e variegato di imprese del commercio, turismo e servizi che compone il terziario.

“Un sistema spesso frammentato, che nella dimensione piccola e piccolissima ha la sua cifra, “croce e delizia” di fronte alla richiesta pressante di innovazione che i rapidi cambiamenti del mercato richiedono. E che non si può affrontare senza conoscenze e strumenti – anche finanziari – adeguati”, sottolinea il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni.

Tra gli elementi salienti della ricerca che sarà illustrata martedì 11 salta agli occhi che quella di Arezzo è in Toscana la provincia più colpita dal fenomeno di deterioramento delle imprese nel 2019, facendo registrare un tasso di crescita negativo (-0,48%) dovuto a tutti i settori. Negativa, ma in misura minore, anche la crescita di Siena, Massa Carrara, Pisa e Pistoia. A crescere – ma in modo molto contenuto - sono state le province di Prato (+0,85%), Grosseto, Lucca, Firenze e Livorno.

Nonostante sia la componente più vivace dell’economia locale, anche il terziario aretino ha chiuso il 2019 con un saldo negativo tra imprese nuove nate e cessate (- 430 unità). Un dato che è dovuto specialmente al contributo negativo del commercio al dettaglio, che nell’ultimo decennio ha visto andare in fumo circa 400 imprese (-8%), allargando la forbice con quelle del turismo, che si configura invece come una vera e propria eccellenza del territorio di Arezzo+18% le imprese negli ultimi dieci anni (quasi 400 unità in più rispetto al 2010). Ma è ormai cosa sotto gli occhi di tutti: chiudono sempre più negozi, aprono sempre più bar e ristoranti. Ottima anche la performance dei servizi (+14% dal 2010 al 2019).

“La crisi dei consumi iniziata qualche anno fa non accenna a diminuire, anzi ormai è chiaro a tutti come sia diventata strutturale”, commenta la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini, “non torneremo più indietro al tempo dei consumi di massa, anche perché nel frattempo è nata una nuova coscienza ecologica e sociale che lotta contro gli sprechi, il consumismo, lo sfruttamento. Pensare che c’è ancora una parte di mondo dove lo sfruttamento è ancora la parola d’ordine, a partire da quello delle persone. Logico che la rete distributiva ne abbia risentito, soprattutto quella meno strutturata, che ora si trova di fronte a diversi cambiamenti obbligati da affrontare. Quello legato al mondo del web, per esempio”.

Sul versante dell’occupazione, il tessuto imprenditoriale della Toscana assicura un posto di lavoro ad oltre 1,1 milioni di occupati, dei quali il 9% attivo in provincia di Arezzo, dove il terziario si conferma trainante: +5 mila i lavoratori negli ultimi 10 anni. Resta tuttavia critica la situazione del commercio (-1.700 i posti di lavoro dal 2010 ad oggi). L’incidenza del terziario è evidente anche dal punto di vista del contributo economico: è il 66% del valore aggiunto della provincia di Arezzo (quasi 6 miliardi di euro).

Nonostante questi successi, gli imprenditori aretini non sono troppo fiduciosi sull’andamento dell’economia nei prossimi sei mesi. Anzi, dimostrano un sentiment inferiore alla media regionale ma, a differenza di questa, di sostanziale stabilità (i ricavi ad Arezzo «tengono» più che in altre province della regione).

“L’instabilità politica ed economica che si respira a livello internazionale incide profondamente sul fattore fiducia”, spiega Marinoni, “negli ultimi giorni, poi, si sono aggiunte le preoccupazioni legate alla ricaduta negativa del Coronavirus su turismo e produzione di casa nostra. Ancora una volta scopriamo come la globalizzazione ci abbia offerto tantissime opportunità ma ci abbia anche resi fragili di fronti ad eventi che non possiamo controllare”. 

Altro dato che emerge dalla ricerca, l’irrigidimento del rapporto con le banche: è infatti in calo la quota di imprese aretine del terziario che si recano in banca per chiedere credito, così come calano anche le risposte positive.

 “Invece è proprio di investimenti che avremmo bisogno per crescere e consolidare le nostre imprese, anche per aiutarle a strutturarsi meglio”, dice Marinoni, “questo chiediamo anche alla Regione Toscana, che nella serata sarà rappresentata dall’assessore Stefano Ciuoffo: creare bandi di sostegno adeguati alle imprese del terziario. Finora la maggior parte dei bandi è strutturata secondo le esigenze e le caratteristiche delle grandi imprese della produzione. Se non si sostengono si rischia di perdere quello che ora è il vero motore della nostra economia”.

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