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Il redditometro va in soffitta? Sarebbe ora

Il redditometro va in soffitta? Sarebbe ora. Dopo oltre venti anni dalla sua prima introduzione, gira la voce, ma bisogna essere sempre prudenti con queste tagliole, che il redditometro sia meno utilizzato. Come funziona, grosso modo, l’attrezzo...

Il redditometro va in soffitta? Sarebbe ora. Dopo oltre venti anni dalla sua prima introduzione, gira la voce, ma bisogna essere sempre prudenti con queste tagliole, che il redditometro sia meno utilizzato. Come funziona, grosso modo, l’attrezzo: partendo dalle spese che un cittadino sostiene nel corso di un anno, o che il fisco tenta di dire che dovrebbe aver statisticamente sostenuto, viene ricostruita una parvenza di opinabilissimo reddito tassabile. In alcuni casi l’operazione può avere anche avere una sua logica. Per esempio, nel chiaro caso del suv furbescamente intestato all’anziana nonna, che ha come unico reddito la pensione minima, c’è poco da dire; con il nipote il redditometro funziona abbastanza bene. Come anche nei più rari, ma ben più eclatanti, casi di nullatenenti fiscali con proprietà enormi formalmente intestate a terzi, il redditometro ha un suo perché. Certo, siamo sempre in presenza di una ricostruzione presuntiva, e quindi opinabile, del reddito, palesemente contraria ai principi costituzionali della capacità contributiva.

Ma capisco che, in certe selezionate, ed evidenti situazioni, non è possibile avere tutto. Poi, come sempre avviene, il fisco ha utilizzato questo strumento a tappeto, pretendendo di dare un preciso valore ad ogni possibile spesa che una persona sostiene o, lo so che sembra incredibile, dovrebbe sostenere. Abbiamo assistito a dei veri e propri deliri, quale l’invenzione del “fitto figurativo”, del quale vi risparmio i dettagli, poi fortunatamente cestinato. Insomma, una specie di grande fratello statistico che tutto vede, tutto valuta e, cosa peggiore, tutto somma per partorire un reddito da tassare. Per anni è stato portato avanti un proditorio tentativo di catastalizzare i redditi. Più o meno come avviene con gli immobili, dove, per il solo fatto di averli, il cittadino è costretto a pagare delle tasse su un reddito falso, in quanto costruito a tavolino. Di fatto in barba a qualsiasi logica, a qualsiasi evidenza empirica, e, ancora più grave, duole ripeterlo, al principio costituzionale di capacità contributiva. Niente di nuovo sotto il sole: per esempio i meno giovani ricorderanno quella nefandezza della minimum tax. O cosa dire dell’attuale obbrobrio degli studi di settore, che nessuno sa come vengono costruiti, ma che costituiscono quasi un Vangelo? Tutta roba realizzata con la stessa logica. Sia ben chiaro: qui nessuno contesta la necessità di contrastare l’evasione fiscale, ci mancherebbe altro, ma non è possibile tollerare l’invenzione di redditi inesistenti.

Purtroppo, sino a che ci sarà l’esigenza di massimizzare il prelievo fiscale, perché dobbiamo obbedite agli ordini contabili che vengono dal nord dell’Europa, le cose non cambieranno. E sennò, come interpretare la disdicevole circostanza che gli uffici del fisco sono chiamati a produrre ogni anno un certo numero di accertamenti? Sarebbe, più o meno, come se i comuni obbligassero gli agenti della polizia municipale a fare ogni anno un numero minimo di multe. Ce lo siamo detti tante volte, finché rimarremo mansueti cagnolini agli ordini dei tedeschi, sino a quando non torneremo ad essere padroni a casa nostra, i risultati saranno sempre gli stessi.

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