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Economia

Covid, alberghi sul filo: "Spese alle stelle e stanze vuote. Rischio chiusure"

Il grido d'allarme di Confcommercio: "Tanti albergatori nel 2020 sono riusciti a resistere al calo di fatturato con le proprie forze, investendo risorse proprie, ma se la situazione va avanti così potrebbero decidere di chiudere entro il 2021"

Prima il lockdown, poi uno spiraglio estivo, e dopo la desolazione. Il settore del turismo ad Arezzo sta soffrendo molto. L'ultimo grido d'allarme lo ha lanciato Confcommercio, con una dettagliata analisi sul flusso turistico e sulle spese che le strutture ricettive, benché vuote da mesi, stanno sostenendo. Ne emerge un quadro drammatico della situazione attuale, ma anche la necessità di rimodulare l'offerta turistica nelle varie vallate, per cercare di riportare i turisti nell'Aretino. 

Alberghi chiusi ma tanti costi

“Mantenere un albergo da 35-50 camere, pur senza clienti e con tutti i dipendenti in cassa integrazione, costa lo stesso oltre 300mila euro l’anno. Tanti albergatori nel 2020 sono riusciti a resistere al calo di fatturato con le proprie forze, grazie al reinvestimento di risorse proprie, ma se la situazione va avanti così potrebbero decidere di chiudere entro il 2021”.
A spiegare i dati è la responsabile dell’area turismo della Confcommercio aretina Laura Lodone: “nelle trecentomila euro annue abbiamo considerato soltanto la parte fissa delle bollette (acqua, gas, luce), tasse e imposte municipali (rifiuti, insegne, ecc.), il canone Rai, la Siae e gli altri oneri derivanti dal diritto d’autore, i contratti con Sky e altre piattaforme streaming, i costi del personale non coperti dalla cassa integrazione. Mancano quindi i costi di un’eventuale locazione dell’immobile e gli oneri finanziari derivanti da mutui contratti in precedenza, oltre che gli stipendi di dipendenti e collaboratori. Insomma, un albergo è una “macchina da guerra” che ha bisogno di investimenti solidi e non può andare avanti a scarto ridotto”.
“Per un albergo i ricavi non sono solo questione di presenze, ovviamente crollate in questi mesi di blocco della mobilità: al 35% sono composti da servizi accessori alla vendita delle camere, come la ristorazione o l’affitto di sale congressi”, sottolinea Laura Lodone.

Il blocco da febbraio 2020 e il fuoco di paglia estivo

Ma come sottolinea l'associazione di categoria, da febbraio 2020, il settore è fermo, o quasi.

"La provincia di Arezzo ha perso una media del 54% delle presenze turistiche - conferma la vicedirettrice della Confcommercio aretina Catiuscia Fei​ -. E non possiamo neppure lamentarci troppo perché ci sono aree e città toscane, vedi Firenze, con perdite molto più pesanti, che arrivano fino all’80%. Noi siamo riusciti a reggere meglio, perché da sempre il nostro mercato di riferimento, nel quale abbiamo continuato a promuoverci, è quello italiano. Chi lavorava solo con gli stranieri è a terra”.

Dopo il lockdown primaverile, l'estate aveva fatto pensare ad un pericolo scampato. Gli alberghi di Arezzo, addirittura nell’agosto 2020 hanno registrato un +8% di presenze rispetto all’agosto 2019. Quasi tutti turisti italiani alla riscoperta delle città del Bel Paese. Ma è stato un fuoco di paglia, che si è esaurito nell'arco di un mese. 

"Questo picco estivo - evidenzia Laura Lodone - ha conciso con la piccola ripresa dopo l’uscita dal lockdown e purtroppo non fa testo: perché il resto dell’anno è stato terribile e le perdite peggiori sono toccate proprio alle strutture alberghiere”. Per loro, al danno si è aggiunta la beffa: “nessun Dpcm ne ha mai imposto la chiusura”, spiega la responsabile del turismo di Confcommercio, “ma è chiaro che con le limitazioni agli spostamenti c’è stato un crollo di clienti. Qualcuno ha preferito chiudere al pubblico per qualche tempo, pur di limitare le spese. Ma, visto che non c’era obbligo di sospendere l’attività, i ristori sono stati ridicoli: intorno al 4,5% delle perdite subite in un mese. Ma le perdite arrivano fino al 70% del fatturato”.

Ombre sul futuro

Sul futuro si allungano ombre inquietanti. Il problema adesso, infatti, è quanto potranno ancora reggere gli albergatori di senza "interventi forti di sostegno".  “Gli esperti internazionali parlano di una vera ripartenza nel turismo solo dal 2023. Quante imprese riusciranno ad arrivarci vive?”.
Il Covid inoltre, ha portato alla luce tante fragilità strutturali del sistema turistico aretino. 

Ci sono territori che devono riformulare subito l’offerta, che non possono più basarsi sul patrimonio artistico, ma sul concetto delle esperienze - sottolinea Lodone -. Dobbiamo coinvolgere i turisti, intercettare i loro desideri: noi lo diciamo da anni, eppure ancora c’è qualcuno che pensa basti essere belli per attirare gente”.

È alla luce di questa fragilità strutturale, e non solo degli effetti della pandemia, che vanno letti i dati relativi alle performance delle vallate: “Valtiberina e Valdichiana, per esempio, da gennaio a settembre 2020 hanno perso il 57% delle presenze rispetto allo stesso periodo del 2019, tre punti in più di Arezzo. Il Valdarno ne ha perse il 52% e il Casentino “solo” il 44%, un dato che suona quasi come positivo. Dobbiamo studiare bene questi numeri per capire se si può intervenire anche in altri ambiti, per esempio sul modello turistico che proponiamo, senza dare la colpa solo alla pandemia. È però una logica di territorio, non di imprese singole, e le istituzioni devono essere in prima linea in questa ricerca. Se certe aree perdono più turisti di altre, al di là dell’effetto Covid, è evidente che c’è qualcosa da correggere per ritrovare l’appeal. Solo così potremo essere pronti alla ripresa”.

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