rotate-mobile

Stufato alla sangiovannesse: miracolosamente buono e dal cuore di ferro

Chiamarlo spezzatino equivale ad offendere nel profondo una delle tradizioni culinarie che da secoli viene tramandata gelosamente nel territorio

  • Categoria

    Secondo
  • Difficoltà

    Facile
  • Tempo

    5 ore
  • Muscolo di zampa
  • cipolla
  • sedano
  • carota
  • prezzemolo
  • aglio
  • bucce di limone
  • sale
  • pepe
  • drogo (spezie)
  • noce moscata
  • ossa di vitella
  • olio d'olia
  • conserva
  • vino rosso

Procedimento

Mettere la carne tagliata in cubi all'interno di una pentola (meglio se di alluminio o di coccio) con olio e con il battuto di cipolla, sedano, carota e prezzemolo. A questo aggiungere anche il trito di aglio e bucce di limone. Aggiungere sale, pepe e il drogo. Lasciare rosolare per qualche minuto avendo cura di girare con un mestolo di legno il tutto. Mettere a bollire una pentola di acqua e immergervi le ossa per realizzare il brodo da utilizzare per ultimare la cottura della carne.

Una volta che la carne è rosolata e l'olio in fondo alla pentola è diventato trasparente, aggiungere del vino rosso in una quantità tale da ricoprire completamente il tutto e farlo evaporare a fuoco vivace. Una volta ritirato aggiungere della conserva di pomodotro in una quantità tale da non rendere la carne troppo rossa. Aggiungere poi il brodo man mano che la carne lo richiede. Un quarto d'ora prima del termine della cottura spoverare lo stufato con della noce moscata. 

Lo stufato dovrà bollire almeno per quattro ore. 

La ricetta

Non c'è un periodo giusto per fare lo stufato. Lo stufato alla sangiovannese è così speciale che, a dispetto della sua imponenza, può e deve essere portato in tavola anche il 15 di agosto con 35 gradi all'ombra. Per comprendere di cosa si parla, soprattutto per chi non lo ha mai assaggiato, si deve pensare ad un trio jazz dove ogni elemento, anche se non sembra, è in perfetto accordo con l'altro. Il primo boccone, del primo stufato che si assaggia nella vita è una scoperta inaspettata e sorprendente. La carne così morbida da lasciarsi tagliare col solo cucchiaio e entra in scena succulenta e voluttuosa sciogliendo ogni riserva e scaldando il cuore. Le spezie prima catapultano l'avventuriero tra le nebbie umide del Valdarno e poi lo conducono verso terre esotiche e inesplorate. Un altro morso, un altro boccone ancora, e il palato incontra l'oleosità rassicurante e meravigliosa del sughetto. Pomodoro, brodo, vino e battuto rendono il pane un perfetto tramite con il quale raggiungere nuove vette di piacere. Lo stufato alla sangiovannese è tutto questo. Un'esperienza più che una degustazione. Un piatto che risveglia emozioni ancestrali ed istinti primordiali.

La sua storia si perde nei secoli tanto da crearsi intorno a questo piatto varie leggende e credenze. Tra i racconti più ricorrenti c'è quello del miracolo della Monna Tancia, anziana che, dopo aver pregato la Madonna, riuscì ad allattare il nipotino rimasto orfano nella peste del 1478. In seguito all'evento in città arrivarono frotte di pellegrini per ammirare l'immagine sacra a cui si era rivolta la donna. Fu proprio per sfamare questo esercito di fedeli che, si narra, venne trattata una grande quantità di carne frollata con spezie ed aromi. L'altra versione dei fatti, quella che in molti ritengono la più probabile, affonda le proprie origini nella seconda metà dell'800. In questo periodo a San Giovanni arrivarono operai del ferro dall’Europa centrale che avrebbero fatto conoscere il gulasch. Sarebbe poi da attribuire a Virgilio Aldinuzzi il merito di aver fissato la ricetta introducendovi anche alcune spezie arabe conosciute durante la spedizione del 1911 in Libia.

Oggi il rito dello stufato alla sangiovannese viene celebrato nelle cinque domeniche che precedono il martedì grasso in quelle che sono passate alla storia come le domeniche degli Uffizi.

Da ultimo il segreto che rende il piatto una sinfonia unica è il drogo. Si tratta di un mix di spezie che viene preparato per insaporire la carne. La ricetta del drogo? Impossibile da sapere il suo segreto è custodito gelosamente dai droghieri di San Giovanni e, inoltre, ogni famiglia aggiusta in dosi e quantità tali misteriosi ingredienti contribuendo alla creazione di un drogo personalizzato e unico.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

E' giunto il momento di andare in cantina e stappare quel rosso importante che serbiamo da tempo. La preparazione strutturata necessita di un vino di ottimo cotpo. Abbiamo poi bisogno di intensità olfattiva e Pai, perché le caratteristeche del piatto (speziatura, aromaticità e persistenza) lo impongono e di un'importante freschezza per bilanciare la tendenza dolce della carne. Il vino dovrà inoltre avere alcol e tannino, per asciugare succulenza e untuosità particolarmente percettibili. E poi un po' di morbidezza per equilibrare sapidità ed eventuale tendenza amarognola della pietanza. Tiriamo il collo a un bel Brunello di Montalcino Riserva Docg. Vecchio di 15 anni.

(Mat.Cial.)

Non c'è un periodo giusto per fare lo stufato. Lo stufato alla sangiovannese è così speciale che, a dispetto della sua imponenza, può e deve essere portato in tavola anche il 15 di agosto con 35 gradi all'ombra. Per comprendere di cosa si parla, soprattutto per chi non lo ha mai assaggiato, si deve pensare ad un trio jazz dove ogni elemento, anche se non sembra, è in perfetto accordo con l'altro. Il primo boccone, del primo stufato che si assaggia nella vita è una scoperta inaspettata e sorprendente. La carne così morbida da lasciarsi tagliare col solo cucchiaio e entra in scena succulenta e voluttuosa sciogliendo ogni riserva e scaldando il cuore. Le spezie prima catapultano l'avventuriero tra le nebbie umide del Valdarno e poi lo conducono verso terre esotiche e inesplorate. Un altro morso, un altro boccone ancora, e il palato incontra l'oleosità rassicurante e meravigliosa del sughetto. Pomodoro, brodo, vino e battuto rendono il pane un perfetto tramite con il quale raggiungere nuove vette di piacere. Lo stufato alla sangiovannese è tutto questo. Un'esperienza più che una degustazione. Un piatto che risveglia emozioni ancestrali ed istinti primordiali.

La sua storia si perde nei secoli tanto da crearsi intorno a questo piatto varie leggende e credenze. Tra i racconti più ricorrenti c'è quello del miracolo della Monna Tancia, anziana che, dopo aver pregato la Madonna, riuscì ad allattare il nipotino rimasto orfano nella peste del 1478. In seguito all'evento in città arrivarono frotte di pellegrini per ammirare l'immagine sacra a cui si era rivolta la donna. Fu proprio per sfamare questo esercito di fedeli che, si narra, venne trattata una grande quantità di carne frollata con spezie ed aromi. L'altra versione dei fatti, quella che in molti ritengono la più probabile, affonda le proprie origini nella seconda metà dell'800. In questo periodo a San Giovanni arrivarono operai del ferro dall’Europa centrale che avrebbero fatto conoscere il gulasch. Sarebbe poi da attribuire a Virgilio Aldinuzzi il merito di aver fissato la ricetta introducendovi anche alcune spezie arabe conosciute durante la spedizione del 1911 in Libia.

Oggi il rito dello stufato alla sangiovannese viene celebrato nelle cinque domeniche che precedono il martedì grasso in quelle che sono passate alla storia come le domeniche degli Uffizi.

Da ultimo il segreto che rende il piatto una sinfonia unica è il drogo. Si tratta di un mix di spezie che viene preparato per insaporire la carne. La ricetta del drogo? Impossibile da sapere il suo segreto è custodito gelosamente dai droghieri di San Giovanni e, inoltre, ogni famiglia aggiusta in dosi e quantità tali misteriosi ingredienti contribuendo alla creazione di un drogo personalizzato e unico.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

E' giunto il momento di andare in cantina e stappare quel rosso importante che serbiamo da tempo. La preparazione strutturata necessita di un vino di ottimo cotpo. Abbiamo poi bisogno di intensità olfattiva e Pai, perché le caratteristeche del piatto (speziatura, aromaticità e persistenza) lo impongono e di un'importante freschezza per bilanciare la tendenza dolce della carne. Il vino dovrà inoltre avere alcol e tannino, per asciugare succulenza e untuosità particolarmente percettibili. E poi un po' di morbidezza per equilibrare sapidità ed eventuale tendenza amarognola della pietanza. Tiriamo il collo a un bel Brunello di Montalcino Riserva Docg. Vecchio di 15 anni.

(Mat.Cial.)

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Stufato alla sangiovannesse: miracolosamente buono e dal cuore di ferro

ArezzoNotizie è in caricamento