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Venerdì, 19 Aprile 2024

Il peposo alla fornacina, il piatto benedetto anche da Brunelleschi

La ricetta è una delle più antiche della tradizione toscana. I suoi natali sono da ricercare nella zona dell'Impruneta anche se oggi, viene proposto in tutta la regione

  • Categoria

    Secondo
  • Difficoltà

    Facile
  • Tempo

    5 ore
  • Dosi

    6 persone
  • 1 chilo di muscolo di vitella
  • aglio
  • rosmarino
  • salvia
  • 1 litro di vino rosso
  • pepe nero macinato
  • brodo (va bene anche vegetale)

Procedimento

Come prima cosa procuratevi un chilo di carne di vitella che appartegna possibilmente dalla zampa anteriore di un animale adulto. Tagliatelo a cubetti di 5 centimetri circa per lato. Prendete un tegame di coccio o di ghisa e sistematevi dentro la carne unendovi 1 cucchiaio colmo di pepe nero macinato (se preferite quello in grani, cosa molto più in linea con la tradizione, il cucchiaio dovrà essere scolmo), 1 rametto di rosmarino, un ciuffo di salvia e 10 spicchi di aglio. Versate poi il vino e coprite la carne con un coperchio. Infornate a 140-160° gradi e fate cuocere senza mai toccare il preparato per circa 3-4 ore. Se necessario aggiungete durante la cottura del liquido. Una prima volta potrete mettere del brodo mentre, per le successive se si renderanno necessarie, versatevi dell'acqua tiepida. La carne sarà pronta quando si potrù tagliare con il solo uso del cucchiaio. La cottura può avvenire anche sul fornello con lo stesso procedimento anche se, è plausibile, i tempi si allungheranno leggermente.

Alcune varianti più recenti prevedono l'impiego di pomodoro e di un battuto di odori. Questa scelta pur non disturbando il gusto del piatto è da definirsi però del tutto inattinente con la versione originale in quanto all'epoca della comparsa del peposo non era stata ancora scoperta l'America e dunque la presenza del pomodoro in Italia e in Toscana era ancora lontana.

La ricetta

In origine era il pranzo degli operai edili e mastri laterizi poi, col tempo, è diventato un raffinato secondo. È ormai opinione comune che le origini del peposo debbano essere rintracciate nella zona dell'Impruneta. Qui, nel 1400 circa, artigiani e manovali impiegati nelle fornaci di cotto e ceramiche ad inizio del turno usavano mettere una pentola di coccio vicino alla bocca della fornace con dentro della carne di bassissimo pregio. Per camuffarne l'odore e il gusto veniva coperta con del vino, aromi vari, aglio e pepe. La lunga cottura a bassa temperatura trasformava le parti callose e le cartilagini in un piatto ricco di sapore e nutriente. Tracce di questo preparato si trovano anche nella Firenze quattrocentesca. All'epoca della realizzazione delle cupola del Brunelleschi, struttura che svetta dal duomo di Santa Maria del Fiore, gli artigiani impiegati nella costruzione erano soliti preparare il pasto in questa modalità. Un piatto facile da preparare e facilmente reperibile tanto che nel tempo è stato esportato in tutta la Toscana. Oggi il peposo alla fornacina, o del Brunelleschi, viene servito in ristoranti che fanno della tradizione culinaria regionale un caposaldo da mantenere e tramandare di generazione in generazione.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

Vino rosso d'obbligo, possibilmente con un tenore alcolico e un tannino importanti, come si conviene per bilanciare untuosità e succulenza della preparazione. Per rispetto delle origini della ricetta, non si può andare fuori dall'areale del Chianti. Ma volendo essere specifici, possiamo puntare sulla sottozona Rufina, nelle colline a Est di Firenze, un po' più a nord rispetto al cuore del Chianti Classico. Il sangiovese, base di questo vino, in questo caso è minerale e saporoso, con un'adeguata freschezza per contrastare la tendenza dolce della carne. Meglio scegliere la versione riserva.

(Mat.Cial.)

In origine era il pranzo degli operai edili e mastri laterizi poi, col tempo, è diventato un raffinato secondo. È ormai opinione comune che le origini del peposo debbano essere rintracciate nella zona dell'Impruneta. Qui, nel 1400 circa, artigiani e manovali impiegati nelle fornaci di cotto e ceramiche ad inizio del turno usavano mettere una pentola di coccio vicino alla bocca della fornace con dentro della carne di bassissimo pregio. Per camuffarne l'odore e il gusto veniva coperta con del vino, aromi vari, aglio e pepe. La lunga cottura a bassa temperatura trasformava le parti callose e le cartilagini in un piatto ricco di sapore e nutriente. Tracce di questo preparato si trovano anche nella Firenze quattrocentesca. All'epoca della realizzazione delle cupola del Brunelleschi, struttura che svetta dal duomo di Santa Maria del Fiore, gli artigiani impiegati nella costruzione erano soliti preparare il pasto in questa modalità. Un piatto facile da preparare e facilmente reperibile tanto che nel tempo è stato esportato in tutta la Toscana. Oggi il peposo alla fornacina, o del Brunelleschi, viene servito in ristoranti che fanno della tradizione culinaria regionale un caposaldo da mantenere e tramandare di generazione in generazione.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

Vino rosso d'obbligo, possibilmente con un tenore alcolico e un tannino importanti, come si conviene per bilanciare untuosità e succulenza della preparazione. Per rispetto delle origini della ricetta, non si può andare fuori dall'areale del Chianti. Ma volendo essere specifici, possiamo puntare sulla sottozona Rufina, nelle colline a Est di Firenze, un po' più a nord rispetto al cuore del Chianti Classico. Il sangiovese, base di questo vino, in questo caso è minerale e saporoso, con un'adeguata freschezza per contrastare la tendenza dolce della carne. Meglio scegliere la versione riserva.

(Mat.Cial.)

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