Coniglio fritto: il comfort food di Arezzo che fa piangere (di gioia) anche i sassi
Una ricetta per scaldare il cuore, gratificare il palato e dire addio ad ogni buon proposito dietetico
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Categoria
Secondo -
Difficoltà
Facile -
Tempo
50 minuti -
Dosi
Quattro persone
Ingredienti
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1/2 coniglio (circa 800 grammi)
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200 grammi di pangrattato (meglio se grattato al momento)
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2 uova
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Sale
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Olio di semi (girasole alto oleico)
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1 limone (facoltativo)
Procedimento
Per prima cosa pulire la carne da tutti i filamenti grassi, risciacquare la carne e asciugare con dello scottex. Poi tagliare il coniglio a pezzi di grandezza media cercando di renderli piatti il più possibile e (facoltativo) rimuovere le ossa.
Grattare il pane (da preferire a quello già grattato che di solito è troppo fino e troppo secco). Sbattere poco le uova con un filo di sale. Immergere un pezzo di carne alla volta nell’uovo e poi passarlo nel pangrattato cercando di farlo aderire il più possibile pigiando bene con le mani ogni pezzo. Finire di impanare.
Mettere in una ampia padella più di un dito d’olio in modo che i pezzi siano quasi immersi nell’olio. Cuocere per circa 20 minuti girando con delicatezza un pezzo alla volta ogni 4 o 5 minuti.
Quando il coniglio è cotto togliere un pezzo alla volta dall’olio e metterlo su più strati di carta assorbente senza sovrapporre i pezzi.
Servire con spicchi di limone (facoltativo).
La ricetta
Per mangiare il coniglio fritto ad Arezzo, e in Toscana più in generale, serveno essenzialmente due cose: pancia vuota e un buon vino.
La pietanza di questa ricetta è una leccornia che affonda le sue radici nella festa più frenata, nell'occasione più conviviale e nella voglia di concedersi una coccola gratificando palato e cuore.
Tra le ricette comfort food made in Arezzo quella del coniglio fritto non ha pari. Nato dalla facile e felice intuizione che "fritta è buona anche una ciabatta", la ricetta è stata collaudata da tutte le massaie aretine le quali, a loro volta, ricevono applausi a scena aperta strappando lacrime di gioia ogni volta che portano in tavola i meravigliosi, fumanti e leggermente unti, bocconcini dorati.
La variante più comune del coniglio fritto è rappresentanta dalla presenza delle ossa. Le cuoche più pazienti e temerarie provvedono personalmente e con precisione chirurgica al disossamento della carne. Quelle più impacciate invece, affidano tale operazione al macellaio. Resta poi la frangia di coloro che non disdegnano di mantenerle.
Poco conta.
Con o senza a voi la scelta.
(ClaFa)
Un calice in abbinamento
Una frittura, per quanto di carne, chiama le bollicine. Siamo di fronte a un secondo piatto e seguendo il principio di complessità crescente (un vino più semplice per l'antipasto, poi si sale con il procedere delle portate). Abbiamo bisogno di vino dotato di freschezza, sapidità e pure effervescenza per combattere grassezza e tendenza dolce del piatto. Un certo grado alcolico sarà utile per bilanciare la succulenza. L'abbinamento è d'obbligo con uno spumante metodo classico. Un base pinot nero, come ad esempio un'etichetta della Docg Franciacorta brut Rosé, è l'ideale.
(Matt.Cial)
Per mangiare il coniglio fritto ad Arezzo, e in Toscana più in generale, serveno essenzialmente due cose: pancia vuota e un buon vino.
La pietanza di questa ricetta è una leccornia che affonda le sue radici nella festa più frenata, nell'occasione più conviviale e nella voglia di concedersi una coccola gratificando palato e cuore.
Tra le ricette comfort food made in Arezzo quella del coniglio fritto non ha pari. Nato dalla facile e felice intuizione che "fritta è buona anche una ciabatta", la ricetta è stata collaudata da tutte le massaie aretine le quali, a loro volta, ricevono applausi a scena aperta strappando lacrime di gioia ogni volta che portano in tavola i meravigliosi, fumanti e leggermente unti, bocconcini dorati.
La variante più comune del coniglio fritto è rappresentanta dalla presenza delle ossa. Le cuoche più pazienti e temerarie provvedono personalmente e con precisione chirurgica al disossamento della carne. Quelle più impacciate invece, affidano tale operazione al macellaio. Resta poi la frangia di coloro che non disdegnano di mantenerle.
Poco conta.
Con o senza a voi la scelta.
(ClaFa)
Un calice in abbinamento
Una frittura, per quanto di carne, chiama le bollicine. Siamo di fronte a un secondo piatto e seguendo il principio di complessità crescente (un vino più semplice per l'antipasto, poi si sale con il procedere delle portate). Abbiamo bisogno di vino dotato di freschezza, sapidità e pure effervescenza per combattere grassezza e tendenza dolce del piatto. Un certo grado alcolico sarà utile per bilanciare la succulenza. L'abbinamento è d'obbligo con uno spumante metodo classico. Un base pinot nero, come ad esempio un'etichetta della Docg Franciacorta brut Rosé, è l'ideale.
(Matt.Cial)