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Cronaca

Evasione milionaria con l'argento: chieste le condanne

Si va da un minimo di 1 anno e 3 mesi a un massimo di 4 anni e 6 mesi. I fatti risalgono al 2015

Le richieste dell'accusa, sostenuta dal pm Marco Dioni, variano da un minimo di 1 e 3 mesi fino a un massimo di 4 anni e 6 mesi. Ecco le condanne - come riporta Teletruria - chieste dalla Procura della Repubblica di Arezzo nei confronti degli imputati del processo di "Argento vivo" la maxi operazione condotta dalla Guardia di Finanza che, nel febbraio del 2015, fece emergere una frode incentrata sulla compravendita di argento e metalli preziosi. Inizialmente erano 32 gli indagati, poi finirono a processo in 18.

L'inchiesta

Il presunto raggiro ammontava a 3,2 milioni di euro di Iva evasa con ben 32 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Le attività di indagine delle Fiamme Gialle permisero di far emergere, secondo la tesi degli inquirenti, l'esistenza di una frode fiscale all'Iva in atto nel settore del commercio di metalli preziosi (principalmente argento, ma anche platino, palladio e rodio), attuata da due distinte organizzazioni criminali. Gli artefici principali della frode - secondo l'accusa - erano due soggetti aretini, noti nel distretto orafo locale, che, pur non avendo alcun ruolo formale nelle società coinvolte, erano in grado di controllarne l'operatività, dirigendo i "prestanome" in maniera quasi militare arrivando al punto di dirgli come vestirsi o cosa dire durante gli atti gestionali. Gli stessi, grazie ai proventi degli illeciti, potevano mantenere un alto tenore di vita pur risultando privi di qualsiasi reddito dichiarato da molti anni. Le due organizzazioni hanno acquistato per anni ingenti quantitativi di argento puro (in grani) in ambito nazionale, senza corrispondere l'Iva ai fornitori (applicando il meccanismo del "reverse charge"). A questo punto l'argento puro veniva trasformato in semilavorato (fuso in verghe) senza alcuna effettiva finalità commerciale ma solo con l'obiettivo di assoggettare ad Iva le successive vendite attraverso società "cartiere" che non versavano nè Iva né imposte. Il metallo veniva poi definitivamente ceduto al cliente finale che lo faceva nuovamente affinare per ricollocarlo sul mercato. Il sistema fraudolento consentiva ai membri delle associazioni criminali di intascare l'Iva generata dalle operazioni commerciali strumentalmente realizzate, nonché al cliente finale di acquistare i metalli preziosi ad un prezzo sensibilmente inferiore a quello che avrebbe potuto spuntare se si fosse rivolto direttamente alle aziende che fornivano i beni e che davano inizio al "circuito" economico artificioso e "messo in piedi" al solo scopo di poter frodare l'erario.

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