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Cronaca

Morti all'Archivio di Stato, slittano le testimonianze sulle indagini del Mibac. Gli esiti delle autopsie

Si tratta di due esperte che dovranno confermare o comunque chiarire le parole pronunciate nell'ultima udienza del procedimento da Gino Famiglietti (che all'epoca dei fatti era direttore generale degli Archivi presso il ministero dei Beni culturali)

Filippo Bagni fu il primo a scendere le scale che portavano al seminterrato dove si trovava l'impianto anti incendio. Piero Bruni lo seguiva. Le telecamere interne dell'archivio li hanno inquadrati mentre imboccavano le scale: ma cosa accadde dopo? Ipotesi, dettagli, che possono essere solo ricostruiti: non ci sono immagini che possano chiarire se la porta fu aperta, se ci furono cadute o malori. Ci sono però gli esiti delle autopsie condotte sui corpi dei due dipendenti dell'archivio di Stato. Proprio di questi accertamenti si è parlato questa mattina in aula, in una nuova udienza del processo che vede nel banco degli imputati 11 persone. Tra loro anche il direttore di quel periodo dell’Archivio di Stato, Claudio Saviotti, il suo predecessore Antonella D’Agostino, il vice comandante del Corpo dei Vigili del fuoco Antonio Zumbo, alcuni addetti alla formazione sul lavoro fino e alcuni tecnici che si sono occupati dell'impianto.

Che la morte si sia consumata in pochissimi minuti è stato chiaro fin da subito: l'argon si sarebbe sostituito all'ossigeno causando un decesso asfittico in un tempo che presumibilmente va tra i 30 secondi e i tre minuti. Anche se ci fosse stata una caduta (Bagni aveva lesioni sulla testa e sul volto) o un malore (Bruni fu ritrovato seduto sulle scale, come se avesse cercato di soccorrere il collega ma non ce l'avesse fatta), non ci sarebbero dubbi sulla morte per asfissia, che anzi avrebbe portato al drammatico scenario che si sono trovati di fronte i vigili del fuoco e i soccorritori. 

Non è chiaro invece se la porta del seminterrato fosse stata aperta o meno. Un punto sul quale alcuni avvocati difensori hanno insistito, ma che il medico legale non ha potuto evincere dall'esame autoptico.

Oggi dovevano essere ascoltate anche due funzionarie del Mibac che proprio pochi giorni dopo quel terribile 20 settembre furono incaricate di fare un'indagine interna per capire le cause della tragedia. Emerse che i due dipendenti non conoscevano i rischi che stavano correvano e che ci sarebbero stati pochi controlli all'impianto. Testimonianze chiave di questo processo che sono state rinviate al prossimo 27 ottobre, quando potrà essere presente in aula il legale che rappresenta la Igeam, società che si occupava dell'impianto. Le due testimoni dovranno confermare o comunque chiarire le parole pronunciate nella penultima udienza del procedimento da Gino Famiglietti (che all'epoca dei fatti era direttore generale degli Archivi presso il ministero dei Beni culturali). Famiglietti aveva spiegato che circa una settimana dopo i fatti aveva avviato una sorta di "indagine interna" per capire quali fossero state le cause della tragedia. Due funzionarie sarebbero state incaricate di svolgere le ricerche necessarie. Nell'ambito di questi accertamenti fu contattata anche Igeam e sarebbero venuti alla luce aspetti ritenuti fondamentali: "Emerse che Igeam - ha sostenuto Famgilietti - non sapeva dove fossero posizionate le bombole all'interno dell'archivio di Arezzo, che nessun addetto avrebbe fatto sopralluoghi nell'edificio e che i due dipendenti, Bagni e Bruni, non avrebbero saputo che l'argon fosse pericoloso". 

In aula erano presenti alcuni degli imputati, tra i quali Zumbo e Saviotti. Presente anche la vedova di Bagni, assistita dal legale Andrea Biccheri.

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