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Il processo / Centro Storico / Piazza Falcone e Borsellino, 1

Crac del gruppo Mancini, pm chiede 5 anni di condanna per l'ex patron dell'Arezzo Calcio

Sotto la lente della Procura anche i finanziamenti alla società che aveva una quota degli amaranto

Una lunga requisitoria e poi le richieste di condanna e assoluzione: cinque anni per Piero Mancini e assoluzione per la figlia Jessica e per il braccio destro, nella gestione dell'Arezzo, Giovanni Cappietti. Così il pm Marco Dioni quest'oggi presso il tribunale di Arezzo ha concluso il suo articolato intervento. Richieste di condanna sono arrivate anche per le due figure minori coinvolte nel procedimento: Paolo Grotti e Augusto Sorvillo, per i quali si parla di due anni e tre mesi. 

Dalla Ciet all'Arezzo

La vicenda è legata al crac del Gruppo Mancini. Secondo gli inquirenti, gli imputati avrebbero fatto "girare" i soldi dello stesso gruppo da una società all’altra, fino a svuotarne le casse. Sarebbe stata questa la causa della “bancarotta per distrazione”. In pratica i soldi di una società venivano prelevati per chiudere i buchi di un’altra società e così via, in un meccanismo che ricorda le scatole cinesi. Nell’arco di circa 10 anni sarebbero stati così movimentati oltre 25 milioni di euro e coinvolte le società Mancini Group, Mancini Re, Ciet Impianti e Coeti.  E poi c'è il capitolo Arezzo Calcio: secondo l'accusa con lo stesso meccanismo ben 13 milioni di euro sarebbero passati alla società Arezzo Immagine e sarebbero serviti come serbatoio per la società calcistica (in bilico in quegli anni tra la serie B e la serie C). In aula, nel gennaio del 2021, furono ricostruiti tutti i passaggi: secondo l'accusa la Ciet impianti aveva dirottato ben 28 milioni verso la capogruppo Mancini Group, la quale a sua volta aveva finanziato ancheArezzo Immagine. 

Il file che "scotta"

Durante le indagini è inoltre emerso un semplice file excel scottante nei contenuti. Secondo l'accusa, infatti, in quella tabella elettronica si leggerebbero movimenti sospetti che per circa 6 anni sono stati eseguiti dal personale delle varie imprese. Movimenti che avrebbero lasciato tante tracce dietro di sé. Come quelle degli assegni che impiegati e dirigenti giravano in banca con la formula "a me medesimo" per prelevare contanti dalla cassa aziendale, soldi che poi - stando a quanto ricostruito in aula - venivano consegnati sempre a Mancini. In questo modo l'imprenditore avrebbe potuto contare sulla liquidità di cassa che gli era necessaria. Tanti soldi, almeno un milione e 400 mila euro. 

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