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Cronaca Centro Storico / Piazza Falcone e Borsellino, 1

Tragedia all'Archivio di Stato, i testi in aula: "Un tubo per far uscire l'argon avrebbe potuto salvare Bagni e Bruni"

E' quanto emerso nell'udienza del processo sulla morte dei due dipendenti celebrata ieri presso il tribunale di Arezzo, durante la quale sono stati chiamati a deporre altri tre testi della lunga lista (che conta 23 nomi in tutto) della pm Laura Taddei

Sarebbe potuto bastare un tubo collegato all'impianto antincendio, per canalizzare all'esterno del locale la fuoriuscita dell'argon e salvare la vita a Piero Bruni e Filippo Bagni. Poteva essere questo uno degli accorgimenti in grado di scongiurare la tragedia avvenuta il 20 settembre del 2018 all'Archivio di Stato. E' quanto emerso nell'udienza del processo sulla morte dei due dipendenti celebrata ieri presso il tribunale di Arezzo, durante la quale sono stati chiamati a deporre altri tre testi della lunga lista (che conta 23 nomi in tutto) della pm Laura Taddei.  A rispondere alle domande del magistrato sono stati due funzionari del dipartimento di Prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro della Asl Toscana Sud Est e un collega delle due vittime. 

I funzionari, che erano stati incaricati dalla procura di svolgere accertamenti sul luogo dell'incidente, hanno spiegato quanto emerso in merito alle precauzioni prese per garantire la sicurezza dell'impianto. In quel luogo però - stando a quanto ricostruito in aula - non sarebbe stata presente la cartellonistica sulla pericolosità del gas, non ci sarebbe stato il rilevatore di ossigeno (lo stesso strumento impiegato poi dai vigili del fuoco al loro arrivo) e una valvola dell'impianto - quella da dove l'argon sarebbe fuoriuscito - non aveva il dischetto di sicurezza inserito. Secondo la tesi della Procura, nel momento in cui quel drammatico giorno scattò l'allarme in una sala dell'Archivio, l'argon fuoriuscì dalla valvola nel locale dell'impianto saturandolo.  Dettagli e una concatenazione di eventi che avrebbero portato alla tragedia. 

Le parole dei testi avrebbero anche minato la tesi delle difese secondo la quale l'ambiente non doveva essere destinato al transito dei dipendenti. Dai sopralluoghi eseguiti, hanno sostenuto i funzionari, dal pianerottolo circostante da un lato si accedeva ad una sala conferenze, dall'altra ad un deposito in cui venivano archiviati i numeri della gazzetta ufficiale: entrambi luoghi frequentati dal personale. 

Ma cosa sapevano Bruni e Bagni dell'argon? A detta del loro collega, che ha testimoniato in aula, i dipendenti non erano al corrente della pericolosità di questo gas. Nonostante i corsi di formazione, non sarebbero stati coscienti del rischio al quale stavano andando incontro. 

Nella prossima udienza saranno tre colleghi di Bruni e Bagni ad essere ascoltati dal giudice: ripercorreranno quei drammatici minuti in cui i due dipendenti corsero nel sottoscala e non tornarono più. 

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