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Cronaca Castiglion Fiorentino

Venti anni fa la morte di Emanuele Petri. Il procuratore Rossi: "Come in un film, così scoprimmo le Nuove Br"

Nel giorno dell'anniversario, la testimonianza del magistrato che ripercorre i primi momenti delle indagini a bordo del vagone e la scoperta degli inquirenti aretini di trovarsi di fronte all'ultima cellula brigatista

"Un poliziotto la chiamò per nome e lei, chiusa nel silenzio dal momento dell'arresto, si voltò. Fu così che capimmo che quella donna che avevamo di fronte era Nadia Desdemona Lioce". Da quel giorno sono passati 20 anni, ma il ricordo è vivo più che mai. A riportarlo a galla, sull'onda delle emozioni, è il procuratore Roberto Rossi, che nell'anniversario della tragedia avvenuta a Terontola, nella quale perse la vita il sovrintendente di Polizia Ferroviaria Emanuele Petri, racconta cosa avvenne in quei drammatici momenti e come gli inquirenti aretini scoprirono di trovarsi di fronte all'ultima cellula delle Nuove Brigate Rosse. 

"Ero il magistrato di turno quella domenica - racconta Rossi - quando mi comunicarono che c'era stata una sparatoria su un treno regionale tra Castiglion Fiorentino e Arezzo. Nessuno immaginava cosa avremmo scoperto in seguito". In quel momento il pm salì su un'auto della Questura e corse insieme ai poliziotti a Castiglion Fiorentino. Era una mattina piovosa, il cielo era coperto di nuvole e l'atmosfera era carica di tensione. Su quel vagone del treno 2304 che da Roma portava a Firenze gli inquirenti trovarono una scena agghiacciante. C'era un uomo a terra senza vita, Emanuele Petri, altri due uomini feriti trasportati in ospedale e una donna ammanettata. 

"In quegli attimi non si capiva bene cosa fosse accaduto, la donna non parlava e aveva con sé documenti palesemente contraffatti. Non sapevamo chi fosse e una delle prime cose da fare era identificarla". Erano stati proprio quei documenti - che mostravano evidenti incongruità - a far insospettire il sovrintendente Petri, il quale insieme a due colleghi (Fortunato e Di Fronzo) stava svolgendo dei controlli sul convoglio. Petri prese i documenti della donna e dell'uomo che era con lei e chiamò la sede operativa della questura di Firenze. L'uomo lo seguì nel corridoio del treno, estrasse una pistola e gliela puntò al collo intimando sia a Petri sia ai colleghi di gettare le armi.  Nonostante uno degli agenti avesse gettato la pistola per terra, l'uomo reagì sparando alla gola del sovrintendente che morì. Un collega di Petri, rimasto a sua volta ferito, rispose al fuoco e uccise il viaggiatore. Quell'uomo era il terrorista Mario Galesi. 

"La scena era terribile - prosegue Rossi - ma quello che ci soprese di più e innescò i primi sospetti furono gli oggetti personali che la donna aveva con sé: aveva dei ritagli di giornale sugli attentati mortali a Massimo D'Antona e Marco Biagi, un pacchetto di sigarette con una piccola telecamera occultata al suo interno e un palmare dal contenuto protetto da sofisticati codici. Quanto bastava per far pensare al terrorismo". 

Il magistrato a quel punto avvisò i colleghi della Dda e la donna fu portata in questura. 

"Durante l'interrogatorio la donna continuava a restare in silenzio. Un funzionario della questura di Arezzo si avvicinò e mi disse che sospettava che si trattasse della terrorista. Poi posizionandosi dietro di lei, improvvisamente, la chiamò. Lei si voltò e si tradì: quel gesto, che poi contestai durante l'interrogatorio, ci rivelò la sua identità". 

A quel punto la donna pronunciò l'unica frase udita dagli inquirenti: "Sono Nadia Desdemona Lioce e mi dichiaro prigioniera politica". Poi si chiuse nuovamente nel silenzio. 

"Mi sembrava di essere in una scena di un film - dice Rossi - non credevo alle che mie orecchie e non avrei mai pensato di poter sentire queste parole in un interrogatorio". Non erano gli anni di piombo. Era il 2003. E anche se gli omicidi di D'Antona e Biagi avevano scosso l'Italia, nessuno si sarebbe immaginato di potersi imbattere in due brigatisti a bordo di un treno. 

Nei mesi successivi la Dda, alla quale, visti i reati contestati passò l'inchiesta, inviò il palmare trovato nel vagone negli Stati Uniti. Gli inquirenti scoprirono così che il telefono era di Massimo Galesi, esperto informatico che aveva protetto l'apparecchio con codici particolarmente sofisticati. "Lo capimmo subito ed evitammo di forzare tali password - ricorda Rossi - in questo modo furono preservati i contenuti. Ogni violazione infatti ne avrebbe cancellato tutti i dati. Negli Stati Uniti avevano però esperti in grado di rivelare il tesoro di informazioni che conteneva quel telefono. E scoprimmo così l'ultima cellula delle Nuove brigate rosse". 

A venti anni di distanza Nadia Desdemona Lioce è stata condannata all'ergastolo e si trova sempre nel carcere di Sollicciano. L'agente che l'arrestò non c'è più, si è tolto la vita 7 anni dopo quella tragedia. E oggi la provincia di Arezzo ricorda il sacrificio del sovrintendente Emanule Petri a Castiglion Fiorentino, con una cerimonia.

"Per la prima volta da quel 2 marzo 2003 non ci sarò - conclude Rossi -. Mi dispiace moltissimo. Quella vicenda è sempre presente nella mia memoria".  

Le celebrazioni

Il programma della giornata prevede alle ore 10,30 in Piazza Emanuele Petri la deposizione corona di alloro alla Stazione di Castiglion Fiorentino, subito dopo sono previsti gli interventi delle Autorità, al termine la donazione di un defibrillatore da parte della famiglia Petri e dell’Associazione “Petri” alla Casa Circondariale di Arezzo. 

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