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Cronaca

Morì in vacanza: dall'ipotesi di suicidio a quella del tentativo di fuga, fino all'uso di stupefacenti. Il caso Martina Rossi

Un gesto volontario o un'estrema via di fuga? Un suicidio o il tentativo di sottrarsi a una violenza sessuale? Oppure, ancora, la conseguenza dell'uso di sostanze stupefacenti diverse da quanto emerso dalle indagini? La morte di Martina Rossi, la...

Un gesto volontario o un'estrema via di fuga? Un suicidio o il tentativo di sottrarsi a una violenza sessuale? Oppure, ancora, la conseguenza dell'uso di sostanze stupefacenti diverse da quanto emerso dalle indagini? La morte di Martina Rossi, la 20enne genovese che nell'estate del 2011 perse la vita dopo la caduta da un balcone di una camera d'albergo di Palma de Marjorca - dove erano alloggiati due giovani aretini - è uno dei casi più scottanti e complicati al vaglio della Procura di Arezzo. Le indagini sono chiuse e, vista la mancata archiviazione del caso, si attende la richiesta di rinvio a giudizio dei due ragazzi di Castiglion Fibocchi da parte dei pm Roberto Rossi e Julia Maggiore.

L'ACCUSA

Il reato a loro contestato è "tentata violenza sessuale e morte in conseguenza di altro reato". Secondo la Procura dunque, Martina sarebbe caduta per sottrarsi ad una violenza. Era nella camera 609 dell'hotel Santa Ana di Cala Mayor con Alesssandro e Luca, conosciuti la sera in discoteca. Aveva deciso di lasciare le amiche che erano con lei in intimità con due ragazzi, altri due aretini, appena conosciuti. Così è andata nella camera 609. Durante la notte la tragedia. Stando a quanto ricostruito dall'accusa, Martina sarebbe corsa verso il balcone e avrebbe tentato di scavalcarlo per raggiungere il balcone di fianco. E a quel punto, forse per la presenza di teli da mare bagnati tesi ad asciugare sulla ringhiera, sarebbe scivolata e caduta nel vuoto. A far pensare ad un tentativo di violenza sarebbero stati l'abbigliamento (solo mutandine e canottiera) e alcuni traumi ed ecchimosi non compatibili con la caduta. Ovvero una frattura alla mandibola e graffi su una spalla e su di un fianco.

LA DIFESA

La versione dei due aretini è invece completamente diversa. I giovani raccontano che Martina, quella notte, avrebbe fatto tutto da sola. Fin dalle prime dichiarazioni, Alessandro e Luca hanno parlato di suicidio. E nel fascicolo, secondo la difesa, ci sarebbero anche prove che la giovane durante l'adolescenza era stata in cura da uno specialista per problemi psichici. La fine di un amore l'avrebbe turbata profondamente. E per uscire da una situazione difficile era stato necessario l'aiuto di un medico. Per mesi, stando a quanto riportato dalla difesa, sarebbe stata in cura. E dagli interrogatori dei medici emergerebbero due episodi inquietanti: Martina infatti aveva raccontato che un capodanno aveva tentato di togliersi la vita spaccando una tazza e tentando di tagliarsi le vene con i frantumi, ma sarebbe stata fermata dagli amici presenti. E in un'altra occasione avrebbe raccontato di aver pensato di nuovo al suicidio, questa volta gettandosi da un balcone. In questo caso sarebbe stata dissuasa da un parente.

E sarebbero proprio questi lati di Martina, la sua fragilità, alla base della linea difensiva dei due giovani sostenuta dagli avvocati Stefano Buricchi, Roberto Piccolo e Andrea Cuccuini.

IPOTESI SOSTANZE STUPEFACENTI

C'è una terza ipotesi che potrebbe però essere presa in considerazione. Secondo la quale, quella notte, oltre a fumare uno spinello, i tre abbiano utilizzato anche qualche altra droga, che non lascia tracce. Una sostanza chimica che potrebbe aver offuscato la lucidità dei tre, e innescato reazioni estreme nella giovane, compresa la fuga finita in tragedia.

CASO MEDIATICO

L'intera vicenda è divenuta ormai un caso mediatico, con il padre di Martina, Bruno Rossi, che è stato intervistato a più riprese e i periti che hanno partecipato a varie trasmissioni. L'ultima è stata Chi l'ha visto? mercoledì scorso. Durante il programma è andato in onda anche un video choc, con immagini che li riprende, a loro insaputa, mentre attendono di essere ascoltati come testimoni nella procura di Genova. Sono passati sei mesi dalla morte di Martina e i due si scambiano queste frasi: “digli che eri nel letto eri terrorizzato, combacia tutto tranquillo... ha cominciato a urlare, che era impazzita... anzi no, non hai sentito”. “tutt’al più hai sentito un tonfo, dopo hai visto una persona che vola di sotto”. Parole che, ascoltate così, hanno un peso. Ma secondo potrebbero non essere utilizzate ai fini di un eventuale procedimento giudiziario.

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