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Cronaca

"In trincea contro il Covid-19: colpisce e uccide lasciando soli i pazienti". La storia di Sara, infermiera aretina a Bologna

Sara Andreoli è un'infermiera professionista aretina che presta il suo servizio nella terapia intensiva dell'ospedale Maggiore di Bologna. Attualmente sta assistendo anche i malati di Covid-19

Due grandi occhi azzurri spuntano da sopra una mascherina che copre il resto del volto. Hanno il colore del cielo e del mare: quell'azzurro che probabilmente, in questi giorni, tanti malati di Covid-19 sognano di poter rivedere. In particolare i pazienti più gravi, anche quelli che Sara Andreoli, infermiera aretina che presta il suo servizio nella terapia intensiva dell'ospedale Maggiore di Bologna, sta assistendo. 

La città dove da tre anni la giovane presta il suo servizio nel trauma center - che è punto di riferimento anche per le province di Ferrara e Modena - ha vissuto settimane davvero difficili: qui si contano 17,27 contagi ogni 10mila abitanti (nell'Aretino il dato si ferma a 8,5, quindi poco meno della metà), e oltre 1500 i casi positivi accertati al 30 marzo. 

"Nei reparti dove lavoro  la situazione è al limite, siamo sicuramente provati tuttavia riusciamo a resistere. L’impegno è di tutti, sia dei medici sia degli infermieri e di tutto il personale di supporto". 

Un'esperienza travolgente, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. Perché, racconta Sara, "questo virus ti fa stare da solo, sia quando migliori sia quando muori. Ed è orribile". 

La solitudine e l'aiuto ai pazienti 

Per questo lei e i colleghi cercano di aiutare i pazienti a comunicare con le famiglie.

"Ad esempio, pochi giorni fa un giovane arrivato con un grave trauma al torace, dopo aver sviluppato una polmonite ha fatto il tampone: era positivo al Covid-19. E' stato riportato in terapia intensiva e ri-addormentato. E poi non appena è stato meglio è stato portato in semi intensiva. Ma è sempre rimasto solo. L'ultimo giorno però siamo riusciti ad aiutarlo a parlare con la moglie: ci è riuscito con una videochiamata fatta con un nostro telefono cellulare". 

Per quel giovane malato è stato un giorno speciale. Il giorno in cui, anche se solo virtualmente, è riuscito a parlare con la sua famiglia. 

Il lavoro in corsia oggi più che mai risulta impegnativo. 

"Nell'arco di pochi giorni i malati Covid-19 hanno richiesto molte delle nostre risorse. Di contro avevamo dispositivi di protezione centellinati, ventilatori in esaurimento, materiali e scorte finite. A differenza dei reparti “normali” il malato intensivo necessita di un’alta assistenza proprio perché vengono a mancare quelle funzioni d’organo: questo significa che i malati quasi sempre non respirano da soli, spesso hanno necessità di farmaci e di tecnologia che insieme sostengano o addirittura sostituiscono anche la funzione renale".

In poco tempo il reparto dove Sara lavora si è riempito. I posti a disposizione sono terminati. La risposta della sanità è stata però tempestiva. In poco tempo infatti è stata allestita una seconda terapia intensiva "interamente Covid-19, al piano zero: in nemmeno una settimana, i locali delle sale operatorie sono stati trasformati in letti da terapia intensiva, sono stati recuperati ventilatori e sistemi di monitoraggio più o meno adeguati in modo tale da riuscire a rispondere quanto più possibile alle necessità dei pazienti.  Attualmente, la terapia intensiva e la terapia intensiva Covid-19 contano più di 20 malati intensivizzati, ai quali si devono aggiungere i posti della rianimazione e quelli che stiamo cercando di allestire". 

E poi la responsabilità di un lavoro delicatissimo: "il processo di formazione di un’intensivista richiede anni. Noi “senior”, che poi senior non siamo, dobbiamo quindi supervisionare anche i malati assistiti dai colleghi arrivati da poco, per darci un graditissimo supporto,  ma questo aumenta la tensione che abbiamo". 

La solidarietà oltre la corsia

Quella da infermiera è una divisa che non si toglie mai. Che veste anche l'animo. I gesti di solidarietà, il dedicarsi all'altro vanno oltre le porte del reparto. E Sara ne porta una testimonianza diretta:

"Una mia collega, nonché grande amica, al di fuori del lavoro ha organizzato una raccolta fondi con la quale è riuscita a raccogliere più di 100mila euro che useremo per rafforzare ancora di più la terapia intensiva coVid che abbiamo creato". 

La forza d'animo e la voglia di non arrendersi mai è fortissima in chi trascorre ore e ore a prendersi cura dei malati Covid-19. Anche se il nemico più grande in certi frangenti resta la paura: quella che hanno i pazienti, talmente forte da lasciarli impietriti. 

"Come quando, qualche giorno fa, una signora è arrivata in condizioni molto gravi. Poco prima di indurre il coma, ci ha chiesto se potesse fare una telefonata poi però ha cambiato idea: non so il perché non abbia più voluto, tuttavia quello che si poteva leggere era un sentimento di pura paura. “Andrà tutto bene signora, la sveglieremo tra qualche giorno”, poi ha chiuso gli occhi. Con la consapevolezza che in realtà, nemmeno noi sapevamo se ce l’avrebbe fatta".

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