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Cronaca Badia Tedalda

Guerrina, le sorelle citano diocesi e ordine religioso: richiesta danni da un milione di euro

Dopo il marito, anche le sorelle della 50enne scomparsa da Ca' Raffaello il 1 maggio del 2014 hanno depositato un atto presso il tribunale di Arezzo. Udienza a novembre

Sono passati otto anni dalla sua scomparsa: non c'è una tomba dove i familiari la possano piangere. Ma c'è una persona condannata a 25 anni per i reati di omicidio e distruzione di cadavere. La vittima è Guerrina Piscaglia, mamma 50enne di Ca' Raffaello scomparsa nel nulla il 1 maggio del 2014. L'uomo accusato della sua morte è padre Gratien Alabi, che secondo l'accusa aveva una relazione con lei e che, quando la situazione si sarebbe fatta troppo complicata, le avrebbe tolto la vita. 

La vicenda giudiziaria sembrava conclusa con la rinuncia del sacerdote congolese alla revisione del processo. Invece un altro capitolo sarà presto scritto in sede civile perché le sorelle e le nipoti di guerrina hanno deciso di citare - come aveva già fatto il marito di Guerrina, Mirco Alessandrini - la diocesi di Arezzo Cortona e Sansepolcro e i Canonici regolari premostratensi (ordine al quale apparteneva Gratien). 

La famiglia di Guerrina si è rivolta alle avvocatesse Chiara Rinaldi e Maria Federica Celatti le quali, nei giorni scorsi, hanno depositato un atto di citazione al tribunale civile di Arezzo. E proprio qui, il prossimo 24 novembre, si svolgerà la prima udienza della causa. 

Come ha riportato Ansa, secondo la citazione "la responsabilità va accertata in solido tra padre Graziano, attualmente detenuto a Rebibbia, la diocesi e l'ordine di appartenenza".

In particolare, si legge nel testo dell'atto "L'abito talare fu una vera e propria conditio sine qua non della relazione sessuale prima e dell'evento morte poi" poiché "pose padre Graziano nella condizione di poter più agevolmente compiere il fatto dannoso". Secondo la tesi sostenuta da familiari e legali, il vescovo Riccardo Fontana, avrebbe avuto la facoltà di rimuovere il frate assegnato alla parrocchia. Una lettera di una parrocchiana, infatti, lo avrebbe informato sulla natura della relazione tra il parroco e Guerrina e per questo il vescovo avrebbe dovuto attivarsi "conscio della pericolosità della relazione". 

L'atto di citazione riporta una richiesta di risarcimento danni che, tra interessi e spese, che si avvicina al milione di euro. 

La vicenda

Era il 1 maggio del 2014. Un giorno di festa. Guerrina Piscaglia aveva pranzato con la sua famiglia - il marito Mirco, il figlio Lorenzo e i suoceri - poi era andata a fare una camminata, lungo la Marecchiese. Erano le 13,46 quando è uscita di casa. Da quella passeggiata, però, non è più tornata. Fu uccisa, sostiene la suprema Corte nelle motivazioni della sua sentenza, da padre Gratien Alabi, sacerdote congolese della piccola parrocchia, del quale la 50enne si era infatuata. Le ricerche partirono in ritardo: ci furono depistaggi, messaggi inviati dal cellulare della donna che volevano far credere ad un allontamento volontario. Poi scattarono le indagini: era già estate. Ad incastrare Gratien furono i tabulati telefonici: migliaia di contatti in una manciata di mesi (almeno 4mila secondo l'accusa). Messaggi e chiamate, interrotti bruscamenti il 1 maggio, lasciando però una traccia che portava direttamente al sacerdote: "Vengo in canonica e ti cucino il coniglio", aveva scritto Guerrina. 

Da quel drammatico giorno della scomparsa sono passati sette anni. Gratien sta scontando la sua pena, pari a un quarto di secolo, nel carcere di Rebibbia.

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