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Cronaca

"In fuga dall'Ucraina, a Odessa ho visto la morte". La storia di Eugenia, scampata alla strage del 2014

Giovane impiegata che si dedicava attivamente alla politica, era dall'altra parte della barricata, con i separatisti. Oggi ha trovato rifugio nella provincia e racconta il suo passato

Le scie dei missili che solcano il cielo. Le immagini delle auto in coda per scappare dalle città bombardate. Ieri mattina la guerra è piombata negli schermi degli smartphone, dei pc, dei televisori di ognuno. Terribilmente vicina e inesorabilmente a portata di mano. Eppure c'è chi da quella guerra, deflagrata in Ucraina nelle ultime ore, è scappato alcuni anni fa, trovando rifugio in provincia di Arezzo. Perché in realtà il seme del conflitto che sta facendo tremare le potenze mondiali ha iniziato a germogliare circa dieci anni fa. Era il 2014 quando, in seguito alle rivolte di Euromaidan, a Kiev cadde il governo e si aprì la stagione filo-occidentale. Ma una minoranza, quella del Donbass e delle province al confine con la Crimea, di lingua russa, voleva la secessione. Erano coloro che vivevano dall'altra parte della barricata.

Tra queste persone c'era Eugenia (il nome è di fantasia), una giovane impiegata di Odessa che si dedicava attivamente alla politica. Il suo impegno l'ha portata a vivevere uno degli eventi più dolorosi del suo Paese (la strage di Odessa) e poi a lasciare l'Ucraina e trovare rifugio in uno spicchio della provincia.

L'attivismo e la tragedia

"Con i miei amici distribuivamo volantini, manifestavamo pacificamente - ricorda oggi Eugenia, affacciata sulla tranquilla campagna Toscana -. Eravamo contrari a quel nuovo governo di centro destra che di punto in bianco ci aveva tolto la nostra lingua e le nostre tradizioni. Volevamo la secessione. In quell'anno ho cercato di sopravvivere nelle "nuove regole della vita" in Ucraina". 

La situazione ogni giorno era più tesa. Le due fazioni, nelle aree filorusse, si fronteggiavano sempre più spesso. "Fino a quel terribile giorno - racconta Eugenia - in cui fu dato fuoco alla Casa dei Sindacati".

Era il 2 maggio del 2014 quando si compì un vero e proprio massacro, che è già passato alla storia come la strage di Odessa. Dopo una giornata di protesta i manifestanti filorussi - disarmati, riportano le cronache del tempo - in seguito a una giornata di scontri si rifugiarono all'interno della Casa dei Sindacati.

"Eravamo nascosti e accerchiati - racconta Eugenia - da estremisti che iniziarono a tirare molotov all'interno dell'edificio". Un lancio dopo l'altro e la Casa dei Sindacati prese fuoco. Secondo i dati ufficiali del governo ucraino i morti furono 46. Ma i gruppi filorussi parlavano di un bilancio ben più pesante: 116 persone. 

"Io ero lì. Ho visto tutto quanto: il terrore, la paura - racconta oggi Eugenia -. Ci siamo accorti che era stata chiusa l'acqua e staccata la luce: eravamo al buio e senza la possibilità di uscire, perché sapevamo che fuori c'erano persone armate". Alcuni morirono carbonizzati, altri soffocati dal fumo, altri ancora precipitando dalle finestre nell'intento di salvarsi.

"C'era un ragazzino di 17 anni - ricorda la giovane rifugiata - che durante la manifestazione portava una bandiera con simboli sovietici. Morì anche lui. Quando andai al funerale vidi il suo corpo: era stato martoriato". 

Dopo quel terribile 2 maggio tutto cambiò. Eugenia aveva ancora il suo lavoro e la sua vita. Ma sarebbe durato poco. "Era il 10 luglio del 2015 - racconta - ero appena tornata da una vacanza. Era sabato e il lunedì sarei tornata al lavoro. La sera vennero a prelevarmi gli agenti dei servizi speciali. Rimasi l'intera notte nella caserma. All'una fui sottoposta alla macchina della verità. Tutti i diritti di un paese civile erano infranti. Su di me però non trovarono nulla e la domenica fui rilasciata. L'indomani, lunedì, andai al lavoro: sembrava tutto tranquillo. Anche il martedì andai al lavoro, ma il mio capo mi chiamò e mi disse che era costretto a licenziarmi".

A quel punto la vita della donna era davvero in pericolo. "Capii presto che nessun altro mi avrebbe dato un lavoro e allora seguii i consigli degli amici: ogni anno venivo in Italia per imparare la lingua e vedere le bellezze artistiche di questo Paese. Avevo delle conoscenze: e così partii". 

In Italia Eugenia è arrivata nel 2015 e ha chiesto asilo politico. L'anno successivo le è stato riconosciuto lo status di rifugiato. E' ripartita da zero: si è inserita, ha trovato un lavoro, è stata raggiunta da qualche familiare. 

La guerra di questi giorni

In questi giorni ha seguito con grande apprensione le vicende dell'Ucraina. Lei, filorussa, vedeva nella Russia la salvezza: "Come altri 30mila cittadini che sono fuggiti e vi hanno trovato rifugio". Ma la guerra è guerra. Per tutti.

"Proprio nei giorni scorsi - ha raccontato - ho parlato con un'amica. E' un'insegnate di asilo: mi ha detto che stava preparando materassini e oggetti necessari in caso di emergenza per proteggere i bambini in caso di attacchi a sorpresa. Perché non tutti hanno un posto nei rifugi".

Dopo gli scontri delle prime 48 ore, la preoccupazione è cresciuta: "Dal Donbass arrivano notizie tristi. Sembra che la vera guerra, con vittime civili e non militari e distruzione delle abitazioni e delle infrastrutture, si concentri in questa regione. Adesso la situazione è molto più grave rispetto ai primi 7 anni". La battaglia lì adesso si consuma tra Russia e filorussi da un lato e ucraini dall'altro. E alla fine sono i civili che vivono in quell'area subirne le conseguenze. 

Il libro sul quel drammatico 2 maggio

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Nel cuore e nella sua mente di Eugenia resta forte il ricordo della strage di Odessa. "Vorrei che l'Europa sapesse cosa è accaduto in quei giorni. Soprattutto adesso. Da tempo volevo scrivere un libro su questa vicenda. Adesso ci sono riuscita, grazie anche all'incoraggiamento che ho avuto anni fa da Giulietto Chiesa, che ho conosciuto. Ho raccolto 21 testimonianze inedite che insieme alla mia ricostruiscono quella giornata. Ho anche avviato una raccolta fondi per pubblicarlo, affinché quella vicenda non si perda tra le pagine della storia. Per me non è soltanto la possibilità di raccontare la verità, ma è un soprattutto un dovere nei confronti dei compagni uccisi e dei loro parenti rimasti in Ucraina in attesa e nella speranza che la verità del crimine accaduto a Odessa il 2 maggio 2014 venga raccontata ad alta voce. Il libro in lingua russa si intitola "Attraverso il fuoco per l'eternità" ed è già pronto per la pubblicazione ed aspetta soltanto il sostegno dei lettori per andare in stampa".

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