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Cronaca

Crac Banca Etruria, le motivazioni della sentenza: "Rigotti spregiudicato". I perché delle assoluzioni

I giudici riscrivono così l'intera vicenda che scosse Arezzo: una storia fatta di decisioni ritenute ambigue dall'accusa, che vede protagonisti imputati che in molti casi hanno agito seguendo quanto dettato da pochi

Sono oltre 560 le pagine che riportano, nero su bianco, le motivazioni della sentenza per il crac di Banca Etruria. Depositatedue giorni fa, passano in rassegna ogni singolo movimento economico finanziario che ha portato al dissesto dell'istituto di credito e analizzano la posizione e il ruolo di ogni singolo indagato, senza dimenticare le vittime, in primis Lidia Erminia di Marcantonio, vedova dell'uomo di Civitavecchia che si tolse la vita dopo aver perso i risparmi. 
I giudici riscrivono così l'intera vicenda che scosse Arezzo: una storia fatta di decisioni ritenute ambigue dall'accusa, che vede protagonisti imputati che in molti casi hanno agito seguendo quanto dettato da pochi, ovvero i vertici (tra i quali i già condannati con rito abbreviato Giuseppe Fornasari e Bronchi).
La sentenza è stata pronunciata lo scorso 1 ottobre dal presidente del collegio Giovanni Fruganti. Un solo condannato, Alberto Rigotti, e tutti gli altri 20 imputati assolti. 

La condanna di Rigotti

Il suo atteggiamento è stato considerato spregiudicato dai giudici tanto da arrivare a decidere per una condanna ai sei anni. Alberto Rigotti (personaggio chiave anche nella vicenda del 'colpo di stato' che fece cadere la presidenza di Elio Faralli), è stato giudicato colpevole in quanto “Ha sistematicamente utilizzato la banca della quale era componente del Cda per i propri interessi personali e mettendo in tal modo gravemente a rischio il patrimonio e quindi le ragioni del ceto dei creditori. Rischio purtroppo concretizzatosi. Col denaro degli ignari risparmiatori che confidavano sulla rettitudine della banca, Rigotti ha giocato prima a fare il finanziere d’assalto, il mago della finanza e poi di rientrare dalle sue perdite personali, il che vale a rendere manifestamente impraticabile l’ipotesi di applicazione delle attenuanti generiche si si porrebbero in ipotesi come premio beffardo per una condotta la cui antisocialità merita il massimo della stigmatizzazione”.
Parole pesanti, che vogliono mettere in luce una condotta che sarebbe emersa durante le numerosissime udienze del maxi processo. 

Il caso Privilege Yard

L'immagine emblematica del caso Banca Etruria è quella del costosissimo yacht che non ha mai visto il mare. La mai conclusa imbarcazione costò all'istituto di credito 25 milioni di euro. Per i giudici però la società nata per costruire lo yacht “era praticamente una scatola vuota dato che gli 80 milioni del capitale sociale erano stati dirottati verso paradisi fiscali lo spaventoso incremento di costi non era sopportabile senza l’ulteriore supporto del sistema bancario che questa volta non si è fatto irretire”. Secondo i giudici però “non ci furono condotte di dissipazione o distrazione”, il cantiere era stato allestito davvero e anche i lavori erano partiti. L'investimento era dunque rivolto ad una “Iniziativa reale, non solo sulla carta oppure di comodo”. 

Il caso Sacci

Sui 60  milioni persi per l'investimento Sacci i giudici – contrariamente a quanto sostenuto dalla procura – scrivono che “nonostante le macroscopiche violazioni procedurali non appare tale da fuoriuscire dall’alveo del rischio del consentito”. Perché? Perché  ritengono “bizzarro e scarsamente ragionevole che un imprenditore di rango (ovvero Federici) che investe tutto nella operazione della vita lo abbia fatto non credendoci fino in fondo”. L'imprenditore si “giocava tutto in quell’operazione”, dando anche una garanzia personale di 40 milioni.

Villa San Carlo Borromeo e l'outlet di Castel Sant'Angelo

Poi il caso di Villa San Carlo Borromeo per il quale Banca Etruria vide evaporare 21milioni di euro. 
In questo frangente però, secondo il tribunale, “non emersero alert” e la cifra non superava una soglia che veniva ritenuta pericolosa. 
Nessuna dissipazione inoltre sarebbe stata da attribuire all'investimento per l'outlet di Castel Sant'Angelo, che vedeva coinvolta “La Castelnuovese” di Lorenzo Rosi (che in seguito divenne l'ultimo presidente di Banca Etruria). Secondo i giudici tale investimento non avrebbe esposto “la banca a rischio esuberante rispetto all'attività creditizia ne il ceto dei creditori era in pericolo”.

Un pensiero per le vittime

Le motivazioni si chiudono con una “nota finale” in cui i giudici fanno riferimento alla “vicenda umana di ognuna delle numerosissime parti civili”. E in particolare Lidia Erminia di Marcantonio, la vedova del risparmiatore di Civitavecchia che si tolse la vita. I giudici ricordano che la donna fu sentita in un'aula “sconsolatamente vuota”, perché non c'era nessun legale degli imputati presenti. “Essere presenti avrebbe significato, da parte di tutti e di ciascuno, mostrare la propria solidarietà e vicinanza umana ad una persona provata da un enorme dolore e forse almeno un minimo di sollievo, forse almeno per un momento, il calore umano di quella presenza sarebbe riuscito a darlo. Ma ciò non è avvenuto”.

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